La segnalazione di lavori in corso di esecuzione e l'interdizione al pubblico dell'accesso alla zona dagli stessi interessata, non richiedendo alcuna autorizzazione, comporta la responsabilità penale per la violazione dell'art. 673 c.p. nel caso in cui un cantiere non sia delimitato in alcun modo con apposizione di reti o paletti, ciò in quanto l'omessa collocazione di segnali atti ad impedire pericoli alle persone in transito (o comunque l'adozione di idonee cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus all'incolumità pubblica) costituisce preciso obbligo spettante a coloro che abbiano la gestione dei lavori nel cantiere
Interessante pronuncia della Corte di Cassazione sul tema della responsabilità penale per il reato previsto dall'art. 673 c.p. applicato alla normativa antinfortunistica. Il caso, come si vedrà, alquanto banale, riguardava il danneggiamento di un veicolo in sosta provocato dalla mancata apposizione della cartellonistica di sicurezza in un cantiere ove erano in corso lavori di manutenzione straordinaria in un centro commerciale. La Corte, nel disattendere le doglianze difensive, ritiene invece responsabili coloro cui spettava la gestione del cantiere medesimo per i danni cagionati al veicolo in sosta, affermando l'importante principio di diritto secondo cui l'omessa collocazione di segnali atti ad impedire pericoli alle persone in transito (o comunque l'adozione di idonee cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus all'incolumità pubblica) costituisce preciso obbligo spettante a coloro che abbiano la gestione dei lavori nel cantiere.
Il caso
Il caso La vicenda processuale, come già evidenziato, vedeva imputati il legale rappresentante di una s.r.l., impresa esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria in corso di svolgimento in un centro commerciale, unitamente al direttore dei suddetti lavori, ritenuti colpevoli della violazione dell'art. 673 c.p. ad essi contestato per avere, nelle rispettive qualità, omesso di collocare «segnali e/o ripari prescritti dalla legge e dall'Autorità per impedire pericoli alle persone in luogo di pubblico transito» e segnatamente di aver omesso di collocare segnaletica atta a delimitare l'area in cui svolgevano lavori con mezzi pesanti (sollevatore idraulico), che si ribaltava danneggiando un veicolo in sosta.
La responsabilità dei due imputati, in particolare, veniva fondata in sede di merito valorizzando in particolare le dichiarazioni rese da alcuni agenti della polizia municipale che, accorsi sul posto nell'immediatezza del fatto, avevano riferito che il cantiere di lavoro non era delimitato in alcun modo, da ciò desumendosi che i due imputati avevano omesso di collocare segnali o ripari (reti, paletti), atti a delimitare e comunque a segnalare, in orizzontale e in verticale, l'area interessata da una possibile caduta accidentale del mezzo meccanico impiegato (sollevatore), evento ritenuto prevedibile e prevenibile. In particolare il Tribunale aveva escluso che gli imputati potessero utilmente invocare la buona fede in ragione della supposta inerzia dell'autorità amministrativa, ritenendo «ovvio che un'attività pericolosa come quella di sollevare bancali di guaine isolanti o mattonelle del peso anche di cinque o sei quintali richiedesse attenzioni particolari e misure di salvaguardia e di interdizione rigorose nei confronti di chiunque si trovasse a passare, tenuto conto che si trattava di operazioni temporalmente circoscritte (della durata complessiva di 20 - 30 minuti) e che dunque si risolvevano in tempo accettabile».
Il ricorso
Resistevano alla condanna ambedue gli imputati. Per quanto di interesse in questa sede, il direttore dei lavori sosteneva, tenuto conto anche di quanto risultante dalle deposizioni di alcuni operai presenti in cantiere, che erano state adottate le dovute precauzioni, consistite nella collocazione di un nastro rosso e bianco lungo tutto il perimetro della superficie interessata alle operazioni di fissaggio di una guaina impermeabile sul tetto del centro commerciale, nastro che, essendosi rotto a seguito della caduta del mezzo meccanico, come riferito dai predetti testi, era stato immediatamente rimosso dopo il sinistro, per non intralciare le operazioni di soccorso dell'operaio che manovrava il sollevatore idraulico, rimasto bloccato al posto di comando.
Senza contare che, come pure riferito dall'imputato e dai summenzionati testi, il responsabile dei lavori aveva incaricato alcuni dipendenti dell'impresa di adoperarsi affinché nessun passante si avvicinasse o sostasse nell'area interessata alle operazioni di fissaggio e sollevamento del materiale utilizzato per l'esecuzione dei lavori, specificandosi nel ricorso, tra l'altro, che lo stesso direttore dei lavori aveva invitato anche il proprietario del veicolo poi danneggiato dal ribaltamento del sollevatore, a spostarlo, ricevendo un rifiuto a ragione del motivo che lo stesso sarebbe rimasto in sosta solo un attimo.
Soprattutto, però, la difesa del direttore dei lavori sosteneva che lo scopo perseguito dalla norma incriminatrice (art. 673 c.p.), imponendo l'adozione di segnalazioni e ripari, è quello di evitare un pericolo alle persone, sicché, posto che nel caso di specie, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, erano stati adottati accorgimenti più che adeguati allo scopo, in quanto perfettamente idonei alla tutela del bene protetto (delimitazione del cantiere con un nastro rosso e bianco; presenza di dipendenti incaricati di impedire l'accesso ai passanti nell'area delimitata, non transennarle con delimitazioni fisse), l'evento accaduto non poteva assolutamente venire addebitato ad una condotta omissiva degli imputati, tanto più che lo stesso doveva ritenersi cagionato, come precisato dall'imputato, da un imprevisto ed imprevedibile «malfunzionamento» del macchinario di sollevamento, posto che il principale tipo di rischio staticamente connesso alla utilizzazione di tale mezzo meccanico è quello della caduta verticale del carico e non certo quello del ribaltamento del mezzo meccanico, specie ove si consideri che a fronte di una portata massima di venti quintali il carico sollevato il giorno del sinistro non superava i cinque o sei quintali. In ordine al ricorso proposto dal titolare dell'impresa esecutrice dei lavori, in particolare, veniva sottolineata la non configurabilità a carico dell'esecutore del lavori, ma semmai a carico del committente, di un obbligo di osservanza delle prescrizioni in materia di sicurezza.
La decisione della Cassazione
I giudici di legittimità, nel ritenere infondati i motivi di impugnazione, hanno rigettato ambedue i ricorsi proposti nell'interesse degli imputati. Come di consueto, è utile un inquadramento normativo della questione. Nella specie è stato contestato agli imputati il reato contravvenzionale previsto dall'art. 673 c.p., norma inserita nel Libro 3°, sez. II^, del codice penale, dedicata alle contravvenzioni concernenti l'incolumità pubblica e, più specificamente, di quelle concernenti l'incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni. L'art. 673 c.p, in particolare, prevede - sotto la rubrica Omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari ¿ due diverse condotte, sanzionate penalmente con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda: 1) quella di chiunque omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge o dall'autorità per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito, ovvero rimuove i segnali o i ripari suddetti, o spegne i fanali collocati come segnali; b) quella di chi rimuove apparecchi o segnali diversi da quelli indicati nella disposizione precedente e destinati a un servizio pubblico o di pubblica necessità, ovvero spegne i fanali della pubblica illuminazione.
In merito ai profili di ricorso, in particolare, osservano gli Ermellini, quanto al profilo dell'esistenza di una posizione di garanzia tale da giustificare l'esistenza della responsabilità penale sotto il profilo causale, che indubbiamente la stessa grava sul legale rappresentante dell'impresa esecutrice dei lavori ed utilizzatrice del mezzo meccanico ribaltatosi, non rilevando la circostanza che questi non fosse il committente dei lavori.
Sul punto, evidenziano correttamente i giudici di Piazza Cavour, non osta all'affermazione della responsabilità penale dell'esecutore quella giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro in un cantiere edile (Cass. pen., sez. 3, 21 febbraio 2007, n. 7209, imp. B., in Ced Cass. 235882), secondo cui il committente (dei lavori) rimane il soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, non escludendosi affatto, nell'eventualità - pacificamente verificatasi nel caso in esame - di nomina di un responsabile dei lavori - inteso come soggetto incaricato dell'esecuzione dei lavori - la sussistenza della responsabilità penale di quest'ultimo.
Quanto, poi, al secondo profilo inerente lo scopo della norma violata, sottolineano i giudici come fosse pacifico che il cantiere non risultasse delimitato in alcun modo con apposizione di reti o paletti: orbene, precisa la Corte, la segnalazione dei lavori e l'interdizione al pubblico dell'accesso alla zona interessata non richiedeva alcuna autorizzazione, e comunque - ove la si fosse ritenuta necessaria - l'asserita inerzia nel suo rilascio da parte delle autorità preposte non valeva in ogni caso ad escludere la responsabilità degli imputati.
Trattasi di principio, quest'ultimo, assolutamente condivisibile, che trova un suo specifico precedente in una remota decisione (Cass. pen., Sez. 1, 14 gennaio 1998, n. 425, imp. C., in Ced Cass. 209436) secondo cui rientra nella nozione di "riparo", prevista dall'art. 673 c.p.,, l'esecuzione di tutte quelle opere atte ad impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito: ne consegue che deve ritenersi sussistente il reato in questione ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate dall'Autorità non esegua le suddette opere nei termini stabiliti o, in mancanza, in un termine ragionevole.
Nè la responsabilità può ritenersi esclusa nel caso che le opere da eseguire siano soggette ad eventuali provvedimenti di autorizzazione da parte dell'Autorità, atteso che è compito del soggetto, destinatario dell'ordine, di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli di natura burocratica che si frappongano alla rapida esecuzione delle opere.
Il principio, si noti, è stato recentemente ribadito da altra recentissima decisione (Cass. pen., Sez. 1, n. 5098 dell'11 febbraio 2011, imp. V., in Ced Cass. 249798) che ha ritenuto sussistente il reato in questione ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate dall'Autorità sulla sicurezza delle strade non esegua le opere necessarie allo scopo nei termini stabiliti, anche qualora tali opere siano soggette a provvedimenti autorizzativi di terzi, essendo compito del soggetto preposto di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongano all'attuazione dell'adempimento.
Cassazione penale, Sentenza 21/7/2011, n. 29156




Fonte: IPSOA

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