Correggere gli errori fiscali si può, sia nell’ipotesi di maggiore sia di minore imposta. Ciò vale anche per gli sbagli nella contabilizzazione di un costo e/o di un ricavo nel corretto esercizio di competenza. In particolare, il contribuente può imputare fiscalmente il componente reddituale nel corretto periodo di competenza e di sterilizzarlo nel momento in cui è imputato in bilancio dopo la correzione contabile.
Come e fino a quando sia concesso rimediare, è stato chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 31/2013 (vedi articolo “Nessun errore è irrimediabile! Anche il Fisco consente di riparare”), dove l’Amministrazione, pur constatando che sia i principi nazionali sia gli Ias/Ifrs permettono di correggere la mancata imputazione di costi e/o ricavi indicandoli nel conto economico o nello stato patrimoniale (per gli Ias/Ifrs adopter) dell’anno di rilevazione della svista, chiarisce i diversi paletti temporali posti dal Fisco, precisando, tra l’altro, che la possibilità per il contribuente di rappresentare l’esistenza di elementi di costo non dedotti in precedenti annualità, è limitata ai soli periodi d’imposta ancora suscettibili di attività accertativa al momento di scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione.

Ora, con la risoluzione n. 57/E dell’8 giugno 2015, va oltre, puntualizzando che, a tali fini, è irrilevante l’eventuale presenza di fatti che comportano l’obbligo di denuncia penale, circostanza che fa scattare il raddoppio dei termini per l’accertamento. Quest’intervallo di tempo più ampio è previsto esclusivamente a vantaggio del Fisco, che ha così la possibilità di utilizzare l’esito delle indagini giudiziarie. Concetto già espresso dalla sentenza 247/2011 della Corte costituzionale, secondo la quale la ratio del raddoppio dei termini è “…dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquistare e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari”

Una ratio che non può essere trasferita, per analogia, all’occasione data al contribuente di emendare la propria dichiarazione oltre i termini ordinari (31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione), anche se prorogati a causa “dell’astratta configurabilità di un reato”. Non avrebbe alcun senso, infatti, concedere al contribuente “un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari”.


Fonte: Agenzia Entrate

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