In tema di redditometro, è valido l’avviso di accertamento contenente soltanto gli indici di capacità contributiva, anche se non motivato. Inoltre, per sconfessare l’atto impositivo non è sufficiente dichiarare che le spese di gestione troppo alte sono sostenute prevalentemente dal coniuge con reddito maggiore. È necessario documentare il contributo economico, in questo caso, del marito, essendo insufficiente dimostrare solo uno stipendio maggiore.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20649 del 14 ottobre 2015.

I fatti
La controversia scaturisce da un avviso di accertamento ai fini Irpef, emesso ai sensi dell’ex articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, e dei decreti ministeriali 10/9/1992, 19/11/1992 e 21/9/1999, nei cui confronti la contribuente ha denunciato l’infondatezza della pretesa sul rilievo che l’ufficio non aveva considerato l’intero reddito dichiarato da tutti i componenti del nucleo familiare e, inoltre, che la motivazione dell’avviso era carente perché in essa non c’era traccia dei rilievi formulati in sede di contraddittorio endoprocedimentale.
Tali eccezioni, però, non hanno trovato ingresso nei primi due gradi di giudizio, ove i giudici di merito hanno affermato che la documentazione allegata dalla ricorrente, per screditare l’operato dell’ente impositore, non aveva soddisfatto l’onere probatorio posto a suo carico dall’articolo 38. L’ufficio, invece, aveva sufficientemente motivato l’accertamento sintetico, specificando gli indici di ricchezza e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata.

Con ricorso per cassazione, la contribuente lamenta che la Commissione regionale – disattendendo la documentazione prodotta – non ha considerato l’intero reddito dichiarato da tutti i componenti del nucleo familiare, omettendo di valutare la vendita della precedente abitazione e la concessione di un mutuo di importo rilevante, nonché la capacità reddituale riferibile al coniuge.

La decisione
Ma, anche nel giudizio di legittimità, la controversia si è chiusa – questa volta definitivamente – a favore del fisco, in quanto la sentenza impugnata:
da un lato, ha affermato che l’accertamento era adeguatamente motivato
dall’altro, che la contribuente non aveva assolto all’onere di prova contraria sulla stessa gravante, considerata l’inidoneità della documentazione prodotta.
Infatti, la difesa e il ricorso contro un accertamento fiscale da redditometro si basa sulla dimostrazione che il tenore di vita è compatibile con il reddito dichiarato dal contribuente (Cassazione, 10350/2003). Il redditometro, perciò, presuppone che la disponibilità di certi beni (abitazioni, autovetture, eccetera) e/o la fruizione di determinati servizi (vacanze, iscrizioni a club, eccetera) generano delle spese per il loro acquisto e mantenimento, quantificabili mediamente su base statistica.

Nel caso in esame, nel confermare il giudizio d’appello, all’obiezione della difesa che contestava la carenza di motivazione dell’atto impositivo, la suprema Corte ha decretato l’inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, poiché “non risultano riportate, neppure per sommi capi, né le contestazioni formulate dalla contribuente in sede di contraddittorio preventivo, né i passi dell’avviso di accertamento carenti di motivazione rispetto alle contestazioni suddette”.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in presenza di dati certi e incontestati, considerati indici di capacità contributiva, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri stabiliti in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall’articolo 3, legge 241/1990 (cfr Cassazione nn. 14691/2000, 8665/2002 e 9099/2002).

Quindi, l’Amministrazione finanziaria resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (cfr Cassazione nn. 10603/2002, 327/2006 e 12158/2014).
Ne consegue che, non essendo configurabile la denunciata illegittimità dei decreti ministeriali 10/9/1992, 19/11/1992 e 21/9/1999, risulta correttamente motivato l’avviso di accertamento che si limita a richiamare i parametri applicati, poiché la loro efficacia presuntiva è di tipo relativo (cfr Corte costituzionale 297/2004) e consente al contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta (articolo 38, comma 6, Dpr 600/1973 – cfr Cassazione 5794/2001).

Quanto – infine - alla posizione dell’intero nucleo familiare della contribuente, la sezione tributaria ha considerato immune da vizi il ragionamento del giudice d’appello che ha ritenuto non provato, in mancanza di idonea documentazione, che il coniuge avesse sostenuto spese di gestione in misura maggiore (60/70%) rispetto alla percentuale considerata dall’ufficio (50%).



Fonte: Agenzia Entrate

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