In tema di redditometro ante modifiche va annullato l’avviso di accertamento qualora sia stato omesso il preventivo contraddittorio; inoltre nella valutazione dello scostamento rispetto al reddito accertato, l’Ufficio deve considerare il reddito dell’intero nucleo familiare convivente.
Sono questi i principi desumibili dalla sentenza n. 679/19/2015 dello scorso 14 aprile, con cui la Ctr del Veneto ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, accogliendo invece quello del contribuente con conseguente annullamento dell’impugnato avviso di accertamento.

Sulla decisione ha pesato innanzitutto la recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 19667 del 2014 che ha sancito la generalizzazione dell’obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo in nome del diritto di difesa e del diritto che ne deriva per ogni cittadino di essere sentito prima dell’adozione di qualsiasi provvedimento che possa incidere in modo negativo sulla sua sfera giuridica.
Inoltre, secondo la Ctr, pur notandosi l’esiguità del reddito del contribuente a fronte delle spese necessarie per il mantenimento dei beni indice, l’Ufficio aveva sbagliato a non considerare anche il reddito del nucleo familiare, in particolare del figlio del contribuente. Del resto, precisano i giudici, è la stessa Agenzia delle entrate che, con la circolare n. 49 del 2007, raccomandava agli Uffici di muoversi in tal senso.
A seguito dell’invio di appositi questionari riguardanti la disponibilità di beni mobili ed immobili, l’Agenzia delle entrate rideterminava sinteticamente il reddito di un contribuente per gli anni 2006 e 2007 considerando come indici di capacità contributiva il possesso di due autovetture, di un ciclomotore e di un immobile di proprietà, con ripartizione delle spese al 50% con il figlio.
Il contribuente impugnava gli avvisi di accertamento con due distinti ricorsi, uno dei quali si chiudeva con la dichiarazione di estinzione per cessazione della materia del contendere a seguito di definizione della lite da parte del contribuente ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011.
In relazione all’altro ricorso, la Ctp di Vicenza lo accoglieva in parte rideterminando il reddito in 29 mila euro contro i 59 mila accertati dall’Ufficio.
Nel successivo grado di appello la Ctr del Veneto accoglieva il ricorso del contribuente annullando l’avviso di accertamento sulla base dei due profili sottolineati in precedenza.
Sul tema del contraddittorio obbligatorio nell’ambito del procedimento tributario si è registrata inizialmente una tendenza restrittiva della giurisprudenza di legittimità.
Infatti la Cassazione ha più volte chiarito che in ambito tributario non sussiste un obbligo generalizzato di effettuazione del contraddittorio, stabilendo che l’Amministrazione non è sempre tenuta a interpellare il cittadino, neppure nel caso di incertezza intrinseca della dichiarazione dei redditi (cfr. Cass. 26316 del 2010).
La partecipazione del privato al procedimento amministrativo-tributario, quindi, costituisce un’eventualità, essendo rimessa all’Amministrazione la scelta di interpellare preventivamente, ai soli fini istruttori, il contribuente ( cfr Cassazione sentenze nn. 16874/2009, 20268/2008, 10964/2007 e 16597/2003).
In particolare, la giurisprudenza ritiene che il procedimento impositivo, in riferimento alla partecipazione dell’interessato, “ rimane sottratto alla disciplina generale del procedimento amministrativo dettata dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. mod ”, vista l’espressa deroga ivi disposta dall’articolo 13, comma 2, per i procedimenti tributari. Lo stesso legislatore ha previsto l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo solo in relazione a un limitato numero di ipotesi, in particolare, ai casi di accertamento previsti dagli articoli 37- bis e 38 del Dpr 600/1973 che regolano, rispettivamente, l’accertamento legato a ipotesi di violazione di disposizioni antielusive e quello sintetico del reddito delle persone fisiche (post riforma del 2010), così come agli accertamenti che si basano sugli studi di settore, ove è previsto che, prima della notifica dell’avviso di accertamento, “ l’ufficio invita il contribuente a comparire ”. Negli altri casi l’omessa convocazione dell’interessato non può inficiare la validità dell’atto finale, trattandosi di una scelta rimessa alla discrezionalità degli organi accertatori; scelta, questa, che non pregiudica affatto il diritto di difesa dell’interessato, che potrà sempre presentare osservazioni e memorie in vista di un chiarimento pre-contenzioso o semplicemente attendere l’emissione dell’avviso per poi fornire la prova contraria in sede di giudizio.
In seguito, soprattutto in virtù dell’influenza dei principi comunitari recepiti dalla sentenza a SS.UU. n. 19667 del 18 settembre 2014, si è sviluppato un filone che tende a dilatare l’ambito di applicazione del contraddittorio, da instaurarsi ogniqualvolta la pubblica amministrazione sia in procinto di adottare un provvedimento pregiudizievole per la sfera giuridica del privato.
In particolare con la sentenza a Sezioni Unite, resa in tema di preavviso di ipoteca ma i cui principi possono essere estesi a tutti i procedimenti amministrativi di natura tributaria, si è previsto la generalizzazione del “contraddittorio endoprocedimentale”, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Ne deriva che anche prima delle modifiche normative che, nella specifica materia delle misure cautelari, hanno istituzionalizzato il contraddittorio (attraverso la previsione di avvisi preventivi, da considerare anche quali atti impugnabili) vigeva l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria (a pena di nullità dell’atto, ovvero dell’ipoteca o del fermo) di comunicare al contribuente l’intenzione di procedere all’iscrizione del fermo o dell’ipoteca in modo da concedergli un termine per adempiere o presentare osservazioni, a tutela del suo diritto di difesa.
Sull’applicabilità del principio del contraddittorio in tema di indagini finanziarie si segnala la sentenza della Ctp di Vicenza n. 688/06/14 del 22 ottobre 2014 secondo cui l’Amministrazione finanziaria deve formalizzare la chiusura dell’attività di controllo attraverso la redazione di un verbale, in modo da consentire al contribuente di presentare le proprie osservazioni nel termine di 60 giorni. Il mancato rispetto di tale obbligo determina la violazione del diritto di difesa (e del diritto al contraddittorio che ne rappresenta una modalità di estrinsecazione), con conseguente nullità del successivo avviso di accertamento.
A tal proposito la stessa commissione si era in precedenza espressa (con le sentenze 94/4/12, 95/4/12 e 341/4/14) sostenendo che qualsiasi procedimento con cui il contribuente venga sottoposto al controllo sostanziale della propria posizione fiscale debba garantire una qualche forma di contraddittorio anticipato, pena l’illegittimità degli atti emessi a seguito della verifica.
La pronuncia subisce evidentemente l’influenza dei principi comunitari che impongono alla pubblica amministrazione di attivare il contraddittorio ogniqualvolta la stessa intenda adottare un provvedimento in grado di produrre effetti negativi nella sfera giuridica dei destinatari. In forza di tale principio, contenuto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, tra l’altro, nella nota sentenza Sopropé (nella causa C-349-07), “ il destinatario di una decisione a lui lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata allo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso”.
La pronuncia in commento mostra la tendenza della giurisprudenza di merito a dilatare l’ambito di applicazione dell’art. 12, comma 7 della legge n. 212 del 2000, prescrivendo che ogni controllo effettuato nei confronti dei contribuenti debba concludersi con la redazione di un verbale conclusivo delle operazioni e dei rilievi svolti.
Di contrario avviso sembra invece la giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo, Cass. n. 14026 del 2012, n. 16354 del 2012 e n. 8399 del 2013) secondo cui le garanzie di cui all’articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, consistenti nell’instaurazione di un contraddittorio anticipato con il contribuente e nel rispetto del termine dilatorio per la emissione dell’avviso di accertamento, operano esclusivamente nelle ipotesi di accertamento emesso a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali.

Per quanto concerne l’ambito specifico del redditometro (nella versione vigente prima delle modifiche del 2010 con le quali è stato positivizzato ed istituzionalizzato il principio del contraddittorio) la sentenza in commento si pone in contrasto con il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità.
In proposito, si segnala che la Corte di cassazione, con sentenza 27 marzo 2010, n. 7485, ha evidenziato che la mancata instaurazione del contraddittorio non può essere di per sé motivo di annullamento dell’atto di accertamento. Deve, infatti, considerarsi che “ l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’Ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per questo ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso (cfr. Cass. nn. 27069/06, 9198/91)”.
Per quanto concerne la questione relativa al mancato invio del questionario di cui all’art. 32, comma 4, del DPR n. 600 del 1973, la giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’accertamento sintetico, ha più volte affermato che “ in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il paradigma normativo del procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non prevede, quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica, l’invio del questionario di cui all’art. 32, n. 4, sicché il mancato invio non inficia la perfezione e la validità del procedimento di rettifica, che restano subordinate alla sola carenza dei presupposti di cui all’art. 38 del suddetto decreto (Cass. n. 455 del 2013 che richiama Cass. n. 14367 del 2007 e n. 14675 del 2006).
Per quanto concerne la valutazione del c.d. reddito familiare , la circolare ministeriale 9 agosto 2007, n. 49 richiama l’attenzione degli uffici sulla necessità di “valutare la complessiva posizione reddituale dei componenti il nucleo familiare essendo evidente come, frequentemente, gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico possano trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo familiare ”. Nello stesso senso si era espressa la circolare ministeriale 30 aprile 1977, n. 7, secondo la quale “ ai fini dell’accertamento sintetico, si deve necessariamente tener conto, oltre che delle fonti di reddito risultanti dalla dichiarazione del soggetto passivo anche delle disponibilità che a lui possono derivare dagli altri componenti del nucleo familiare. Queste disponibilità, ancorché autonomamente rilevanti a fini fiscali nei confronti del possessore del reddito per la fonte da cui deriva possono tuttavia spostarsi (e generalmente così accade) nell’economia del contribuente soggetto passivo dell’accertamento sintetico…” .
Anche la Cassazione ha da tempo ammesso (almeno dal 2006 con la pronuncia n. 17203) che il maggior reddito accertato a carico del contribuente possa trovare giustificazione nella disponibilità, da parte di questi, di redditi riferibili a propri familiari o a soggetti terzi. Per quanto concerne l’individuazione del “nucleo familiare” rilevante, secondo la giurisprudenza si può fare utile riferimento innanzitutto “al concetto di nucleo familiare naturale quale costituito tra coniugi conviventi e figli, soprattutto minori, potendosi agevolmente presumere, in tal caso, in base all’id quod plerumque accidit, il concorso alla produzione del reddito (quand’anche non necessariamente proporzionale) di quei soggetti …” (cfr. Cass. n. 17203 del 2006).
A tal proposito l’onere probatorio gravante sul contribuente in merito alla provenienza dei maggiori redditi si atteggia diversamente a seconda sia dei rilievi contenuti negli atti impositivi (da redditometro, o da sintetico “puro”, ovvero basati sulla spesa, più consistente, per incrementi patrimoniali) che della provenienza del reddito (da familiari o da terzi).
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che laddove il reddito sia stato determinato induttivamente sulla base dei coefficienti previsti dal redditometro, il contribuente è ammesso a provare, non certamente il collegamento della spesa presunta con la relativa provvista finanziaria ma, la disponibilità di redditi da parte di familiari o di terzi di ammontare tale da giustificare la capacità contributiva induttivamente espressa dai beni-indice presi in considerazione ai fini del redditometro. La sentenza in commento si allinea a tale orientamento, ritenendo necessario la prova non solo della convivenza effettiva (a prescindere dalle risultanze anagrafiche) ma anche della “capienza” dei redditi dei familiari, ovvero la disponibilità di redditi sufficienti a coprire le spese di gestione dei beni-indice.
La provenienza dei redditi da soggetti terzi, diversi dai familiari, deve essere però adeguatamente provata. Mentre infatti è verosimile (e perciò non necessita di dimostrazione) che familiari conviventi con il contribuente abbiano dato copertura finanziaria al tenore di vita del contribuente, altrettanto non può dirsi per le provviste fornite da terzi non familiari che, conseguentemente, vanno adeguatamente documentate (cfr. Cass. n. 17203 del 2006 secondo cui nel caso di apporti da parte di soggetti diversi dai componenti del nucleo familiare, il contribuente dovrà in ogni caso dimostrare il passaggio del reddito nella sua disponibilità, ciò non potendosi presumere sulla base di una asserita (e non meglio dimostrata) convivenza.
L’assolvimento dell’onere probatorio è maggiormente necessario qualora si tratti di giustificare spese, di entità più consistente, relative ad incrementi patrimoniali (quale quello di cui alla commentata pronuncia). In questo caso, secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, occorre dimostrare non solo la provenienza (da familiari o da terzi) della provvista ma anche il collegamento tra disponibilità finanziaria e spesa, così che l’eventuale possesso di redditi anche consistenti da parte di familiari non è di per sé sufficiente ove non si dimostri altresì che “ proprio quei redditi siano stati impiegati” per realizzare l’incremento patrimoniale (cfr. Cass. n. 4138 del 2013 nonché, da ultimo n. 3111 del 12 febbraio 2014). Alla luce di ciò, è evidente come, per tali spese (come quella per l’acquisto di un immobile) non possa prescindersi, come invece ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito, dall’assolvimento dell’onere probatorio attraverso il richiamo al concetto di “fatto notorio” di cui all’art. 115 c.p.c. Di esso, infatti, proprio per la sua portata derogatoria, la giurisprudenza (cfr., ex multis , Cass. n. 2808 del 2013, n. 23978 del 2007 e n. 24959 del 2005) ha fornito un’interpretazione molto rigorosa che ricomprende solo fatti connotati da indubitabilità e non eventi “solamente” probabili o oggetto della mera conoscenza del singolo giudice.

Un’ultima considerazione:
la Ctr ritiene che l’Agenzia delle Entrate abbia fatto meccanica ed acritica applicazione dell’algoritmo redditometrico che, dalla disponibilità di un’auto per il 2007, ha fatto scaturire un reddito di oltre 45 mila euro, addirittura superiore al costo di acquisto dell’autovettura.
Per i giudici appare allora condivisibile la prova contraria offerta dal contribuente che, in relazione ai chilometri percorsi ed alla cosiddette “tariffe chilometriche ACI”, ha ricostruito in circa 12 mila euro il costo annuo di mantenimento dell’auto de qua .
In altri termini, secondo la Corte, nei casi in cui la determinazione sintetica del reddito conduca a risultati abnormi, il contribuente è ammesso a superare le presunzioni poste dalla legge anche con argomentazioni ulteriori rispetto al possesso di altre fonti di reddito già sottoposte ad imposta o non ricomprese nel reddito dichiarato in quanto esenti.
Per approfondire il tema del redditometro acquista “Redditometro – Novità e orientamenti giurisprudenziali” utile eBook di 93 pagine che esamina gli aspetti problematici risultanti dall’esperienza applicativa alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali.


Fonte: Fiscoetasse

0 commenti:

 
Top