La vicenda giudiziaria prende le mosse dalla cessione, da parte della società convenuta operante nel settore dell’automatizzazione, del 30% delle quote azionarie di una società partecipata. In funzione di tale operazione, la stessa società, usufruiva della detrazione Iva in sede di presentazione delle dichiarazioni dei redditi. Alla base di tale detrazione veniva motivato che la cessione delle quote societarie dovesse assimilarsi al trasferimento di un’universalità di beni e servizi. Pertanto, le relative spese, costituivano spese di carattere generale, connesse allo svolgimento dell’attività economica principale e dunque interamente detraibili.

La posizione dell'Amministrazione finanziaria
Di diverso avviso era l’amministrazione finanziaria che con avviso di rettifica negava la possibilità di effettuare la suddetta detrazione Iva. Ne conseguiva un ricorso presentato innanzi ai giudici della Corte d’appello, che dichiarando fondate le  motivazioni a difesa della detrazione procedeva con l’annullamento dell’avviso di rettifica in questione. Ecco che allora, si procedeva a presentare ricorso dinanzi ai giudici della Corte di cassazione che, in considerazione del dubbio sulla assimilabilità o meno della cessione di quote societarie ad un operazione di trasferimento di universalità di beni o servizi, sospendevano il procedimento in attesa della pronuncia della Corte di giustizia europea.

Le questioni pregiudiziali
Il chiarimento posto alla base delle questioni pregiudiziali presentate dal giudice del rinvio riguarda l’interpreazione di talune disposizioni di cui alla direttiva 2006/112/CE in materia di imposta sul valore aggiunto. In particolare, si tratta di stabilire se dalla lettura degli articoli 5 e 6, paragrafi 8 e 5, sia possibile ricondurre la cessione del 30% delle azioni di una società ad un trasferimento, totale o parziale, di una universalità di beni o servizi tali da essere considerati operazioni imponibili e di conseguenza con diritto a detrazione dell’imposta.

Nel merito delle questioni
Le questioni sollevate, opportunamente giudicate in forma congiunta dai togati europei, fanno riferimento a due particolari disposizioni della sesta direttiva Iva, con particolare riguardo alla cessione di beni ed alla prestazione di servizi. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, infatti, una cessione di beni immateriali costituisce una prestazione di servizi. Questo, a prescindere dalla corrispondenza dei beni immateriali a titoli o quote societarie. Però, in assenza di ulteriori elementi, la Corte di giustizia europea hanno ritenuto di far riferimento, in relazione alle questioni pregiudiziali sollevate, al più indicato articolo 5, paragrafo 3, lettera c). Quest’ultima disposizione, infatti, enuncia la regola della non avvenuta cessione. In primo luogo, pertanto, dalla suddetta disposizione si evince come gli Stati Membri abbiano la facoltà di avvalersi di tale regola e in tal caso la cessione di beni o servizi, tra cui anche il trasferimento di universalità di beni, non è soggetto al regime Iva. A tal proposito, le autorità nazionali, hanno sottolineato come il trasferimento di azioni di una società, può essere assimilato al trasferimento di un universalità di beni ma altra condizione necessaria è che tale pacchetto di azioni costituisca un’unità indipendente per il conseguimento dell’attività economica e che l’acquirente intenda proseguire tale attività. Pertanto, la vendita di azioni o rientra nell’ambito di applicazione dell’imposta o è esente da Iva. Principio fondamentale dell’Iva, è che essa si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione dal cui ammontare da versare è possibile detrarre quanto già versato in ossequio al meccanismo della detrazione. Ma allo stesso tempo occorre che per le operazioni effettuate a monte si abbiano operazioni a valle con nesso diretto ed immediato con le prime. Ecco che la cessione di quote, come quelle alla causa principale, debbano essere considerate come esenti e quindi senza diritto alla detrazione Iva.

La pronuncia
A conclusioni delle loro valutazioni, i togati della nona sezione della Corte di giustizia europea si sono espressi nel senso che alla luce delle disposizioni della direttiva 2006/112/CE in materia di imposta sul valore aggiunto e  particolarmente gli articoli 5 e 6, la cessione del 30% delle azioni di una società non può essere considerata come un trasferimento, totale o parziale, di una universalità di beni o servizi. E sebbene tale cessione avvenga in concomitanza di quella relativa alle rimanenti azioni, l’operazione, oggetto del procedimento, deve essere qualificata come esente.


Fonte: Agenzia Entrate

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