“Se pago le tasse regolarmente, è perché lo considero un mio dovere come cittadino”: quanto sei d’accordo con questa affermazione? È solo uno degli item di un questionario elaborato da un team di ricerca italo-austriaco, composto da Edoardo Lozza (Università Cattolica del Sacro Cuore), Barbara Kastlunger, Erich Kirchler e Alfred Shabmann (Università di Vienna).
L’obiettivo della ricerca (Powerful Authorities and Trusting Citizens: The Slippery Slope Framework and Tax Compliance in Italy) era verificare l’applicabilità del modello teorico dello slippery slope nel contesto italiano.
In sintesi, il modello della “china scivolosa” integra l’approccio classico degli economisti al problema evasione – centrato sugli elementi razionali e sulla valutazione costi-benefici – con quello socio-psicologico, nel quale assumono rilievo aspetti, quali la fiducia nell’autorità fiscale, la percezione del sistema fiscale e del comportamento degli altri contribuenti.

In questa ottica, la tax compliance può essere l’esito di due percorsi differenti:
l’uno basato sulla partecipazione convinta del contribuente all’obbligo tributario, concepito come un dovere civico, in un clima improntato alla fiducia reciproca tra Stato e cittadino
l’altro fondato sul potere dell’autorità di imporre il comportamento desiderato, grazie al ricorso agli strumenti coercitivi (in un contesto sociale marcato dalla sfiducia e dallo scollamento tra contribuenti e Stato).
La fiducia gioca in questo quadro un ruolo decisivo, poiché rende legittimo l’uso del potere autoritativo da parte dell’Amministrazione fiscale, che è in tal caso percepita come strumento di tutela degli interessi collettivi. Quando invece viene meno il legame fiduciario, quello stesso potere è percepito come coercitivo, una sorta di longa manus di uno Stato che non è accettato né riconosciuto.

Il campione e il disegno della ricerca
Il questionario strutturato è stato somministrato a un campione di 389 liberi professionisti e imprenditori distribuiti in quattro regioni italiane (Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige e Abruzzo), con caratteristiche eterogenee per età, genere, istruzione e reddito.
I risultati raccolti sono stati poi analizzati attraverso un modello statistico-matematico, interpretati in base ai fondamenti teorici dello slippery slope e verificati attraverso una serie di focus group.

I risultati della ricerca
Un primo elemento di interesse che emerge dalla ricerca (per la verità, già consolidato nella letteratura scientifica, meno nel dibattito pubblico) è la pressoché completa irrilevanza delle variabili demografiche: in altre parole, quale che sia l’età, il livello di istruzione, il reddito e il genere, questo non influisce in modo significativo sul comportamento fiscale. Né sembra mostrare effetti apprezzabili la provenienza geografica.

Archiviate le “profezie” lombrasiane, restano sul tavolo gli interrogativi chiave della ricerca: perché si pagano (o non si pagano) le tasse?
E soprattutto, quanto incide la relazione di fiducia tra contribuente e Stato sui comportamenti di compliance?

Le risposte del campione, come sempre, sono piuttosto eterogenee. C’è, ad esempio, un 30% di intervistati che candidamente ammette di subire il “fascino” dell’evasione, dicendosi completamente d’accordo sul fatto di occultare i ricavi di un lavoro commissionato da un’impresa “amica”; gli stessi, probabilmente, che, se anche pagano le tasse, lo fanno solo perché non si sentono ancora abbastanza scaltri da evadere “senza essere beccati”.

Ci sono però anche quelli che - non pochi - considerano il pagamento dei tributi “un mio dovere come cittadino” o, addirittura, lo ritengono “sottinteso”. Una parte del campione riconosce, in linea di principio, l’importanza del pagamento dei tributi, ma ammette che, in certe circostanze, può ricorrere a qualche escamotage per alleggerire il peso del fisco. C’è, ancora, chi paga “perché sa che sarà controllato” e chi invece adempie “per sostenere lo Stato e gli altri cittadini”.
Permane, in alcuni casi, una certa diffidenza nei confronti del Fisco, al quale qualcuno attribuisce intenzioni quasi persecutorie (“cerca a lungo nei documenti dei contribuenti fino a quando non trova qualcosa”). Percezione che potrebbe essere riconducibile - più che a un giudizio basato sull’esperienza diretta - agli stereotipi che circolano nella rappresentazione mediatica o, ancora, al sentimento di distanza, quando non addirittura sfiducia, nei confronti dello Stato e di tutto ciò che lo rappresenta.
A supporto di questa ipotesi è il fatto che gli intervistati effettivamente sottoposti a controlli fiscali presentano opinioni assimilabili a quelle espresse dai soggetti che non sono mai entrati in contatto con l’Amministrazione finanziaria: si tratta dunque, sostengono i ricercatori, di valutazioni che probabilmente non sono frutto di esperienze dirette, ma sono influenzate dalla “sfiducia generalizzata” verso le istituzioni (del resto- confermata da tutti i più recenti sondaggi di opinione).

Le indicazioni per le amministrazioni fiscali
In generale, i dati emersi dalla ricerca evidenziano la rilevanza della fiducia (nello Stato, nell’apparato pubblico, nella stessa Amministrazione fiscale) rispetto al comportamento del contribuente: chi nutre un sentimento di fiducia è naturalmente orientato alla compliance e tendenzialmente non evade, nemmeno qualora ne abbia la possibilità.
Viceversa, i contribuenti “sfiduciati” sono più decisamente orientati all’evasione oppure, nel migliore dei casi, si adeguano malvolentieri alla richiesta tributaria.

Appurato il ruolo della fiducia, resta da chiarire come agisce la leva del potere nei confronti dei contribuenti, specie di quelli meno motivati.
Ebbene, se nel breve termine una strategia basata sulla deterrenza può anche esercitare un effetto positivo in termini di tax compliance, nel lungo termine questa compliance “forzata” lascia il posto a comportamenti di evasione deliberata. In altre parole, un po’ come giocando a “guardie e ladri”: più i contribuenti “sfiduciati” si sentono obbligati a pagare, più sono portati a evadere.

In questo scenario, osservano i ricercatori, l’Amministrazione fiscale si trova davanti a un bivio. Una strada è quella di aumentare la fiducia dei contribuenti nell’apparato amministrativo (anche, ad esempio, attraverso l’attività di formazione che l’Agenzia delle Entrate sta realizzando, ndr), pur nella consapevolezza che sulla dimensione fiduciaria incidono altri importanti fattori: primo tra tutti l’equità distributiva, vale a dire il modo in cui le entrate sono gestite per alimentare i servizi pubblici.
L’altra strada è quella di consolidare il proprio potere, rafforzando la leva sanzionatoria e la capacità di controllo (e così esponendosi, nel lungo termine, a riflessi negativi).
Il primo passo per non “scivolare”, secondo i ricercatori, deve essere quello di conoscere le percezioni e le attitudini dei contribuenti, per poter combinare nel miglior modo possibile le leve della fiducia e del potere.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top