Con la sentenza n. 14173 del 5 giugno, la Cassazione ha stabilito che il mancato utilizzo abitativo dell’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, previsti dall’articolo 1, nota II-bis), della Tariffa allegata al Dpr 131/1986 (registro al 3% e ipocatastali in misura fissa), comporta la decadenza dall’agevolazione, con conseguente obbligo di versare la differenza tra le imposte in misura ordinaria e quelle pagate in misura ridotta, più una sanzione del 30%.
Nel caso specifico, per il disconoscimento dell’agevolazione, è risultata decisiva la variazione urbanistica, che adibiva l’immobile a uso studio.

La vicenda processuale
Il giudizio trae origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni, con il quale veniva revocata l’agevolazione “prima casa” in virtù della variazione catastale da abitazione a ufficio.

Dopo un primo grado favorevole al contribuente, la Ctr Lombardia, accogliendo l’appello dell’ufficio, sanciva la legittimità dell’atto impugnato.
In particolare, dopo aver dichiarato l’ammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate per essere stati i motivi dello stesso sufficientemente specificati, nel merito la Ctr evidenziava che la ratio dell’agevolazione era quella di “favorire la destinazione a propria abitazione dell’immobile acquistato”: da tale interpretazione teleologica non può che derivare la perdita del beneficio, in caso di mancata utilizzazione da parte dell’acquirente.
L’intervenuta variazione urbanistica dimostrava, infatti, inequivocabilmente, “l'intenzione del contribuente di adibire l'immobile acquistato in forma agevolata ad un uso diverso da quello che la legge intendeva tutelare”, come confermato anche dal fatto che “il contribuente mai aveva abitato l'immobile acquistato, risultando domiciliato con i figli altrove”.

Contro la sentenza della Ctr, il contribuente proponeva ricorso per cassazione. Con esso denunciava, innanzitutto, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cpc, la violazione dell’articolo 53 del Dlgs 546/1992, per la mancanza, nell’atto d’appello dell’Agenzia delle Entrate, dei motivi di contestazione specifici della sentenza impugnata. A fronte di tali contestazioni, il giudice di appello aveva dichiarato in modo apodittico la legittimità dell’appello che in realtà, secondo il contribuente, conteneva argomentazioni generiche, inconferenti, e non in grado di “incrinare il fondamento logico e giuridico del decisum di primo grado”.
Con un altro motivo deduceva, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata, per essersi illegittimamente pronunciata su domande, contenute nell’atto d’appello dell’Agenzia delle Entrate, che il contribuente considerava “nuove”.
Nel merito, la parte denunciava la violazione di legge in quanto il mancato utilizzo dell'appartamento agevolato come abitazione primaria, reso evidente dalla variazione catastale in studio professionale, non è contemplata come causa di decadenza, nel permanere della sussistenza dei tre requisiti richiamati dalla legge per il beneficio: residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile; non titolarità nello stesso comune, nemmeno in comunione, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione; non titolarità, neppure per quote e su tutto il territorio nazionale, di diritti reali su altre case di abitazione acquistate con le agevolazioni prima casa.

La pronuncia della Cassazione e ulteriori osservazioni
La Suprema corte rigetta il ricorso del contribuente, condannandolo anche alla refusione delle spese processuali.
Il primo motivo viene dichiarato inammissibile per l’astrattezza e la genericità del quesito, in violazione dell’allora vigente articolo 366-bis cpc.
Secondo la Corte, anche il secondo motivo, sulla novità della causa pretendi, è inammissibile per genericità del quesito di diritto. In base a quanto dedotto dal contribuente, in virtù del carattere impugnatorio del processo tributario e dei principi della domanda (articolo 99 cpc) e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 cpc) l'ufficio non può sostituire nella fase contenziosa, addirittura nel giudizio d'appello, il parametro prescelto con l'atto impositivo notificato. La sentenza, a tal proposito, specifica che “cambiamento di causa petendi può aversi soltanto in quanto il fatto posto a base della pretesa sia radicalmente diverso da quello costitutivo originario, perchè solo questa ipotesi implica ulteriori accertamenti fattuali, non invece quando dall'identico fatto il giudice ricavi differenti argomentazioni in fatto e diritto a sostegno della decisione” (Cassazione 15795/2008).

In merito alla violazione delle disposizioni agevolative de quibus la Corte, richiamando un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (Cassazione 13491/2008, 20376/2006 e 18300/2004), ritiene che, per fruire delle stesse, “l'immobile acquistato sia effettivamente adibito ad abitazione principale”. Tanto si ricaverebbe sia dal terzo requisito di cui sopra (non essere titolare di diritti reali su altra casa di abitazione acquistata con gli stessi benefici), sia dall’ipotesi di decadenza dal beneficio (prevista dall’articolo 1, comma 4, della nota II-bis della tariffa allegata al Dpr 131/1986) conseguente all'alienazione infraquinquennale, a meno che si acquisiti una nuova abitazione principale.

In tema di agevolazioni prima casa, l’obbligo, da parte dell’acquirente, di adibire l’immobile acquistato a propria abitazione sembra connaturato alla ratio della disposizione agevolativa. Emblematica, a questo proposito, la pronuncia n. 18300/2004, con cui la Cassazione ha chiaramente statuito che “è ormai consolidato presso questa Corte il principio per cui in tema di agevolazioni tributarie, i benefici fiscali per l'acquisto della "prima casa", previsti dall'art. 1, sesto comma, della legge 22 aprile 1982, n. 168, e dall'art. 2, primo comma, del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12 convertito, con modificazioni, nella legge 5 aprile 1985, n. 118, spettano anche all'acquirente di immobile in corso di costruzione, da destinare ad abitazione "non di lusso", anche se tali benefici possono essere conservati soltanto qualora la finalità dichiarata dal contribuente nell'atto di acquisto, di destinare l'immobile a propria abitazione, venga da questo realizzata entro il termine di decadenza del potere di accertamento dell'Ufficio in ordine alla sussistenza dei requisiti per fruire di tali benefici”.
Ancor più esplicita, sul punto, la sentenza n. 20376/2006, secondo cui “i benefici fiscali per l'acquisto della "prima casa"… in favore dell'acquirente di immobile destinato ad abitazione "non di lusso", possono essere conservati a condizione che il contribuente realizzi l'intento, dichiarato nell'atto di acquisto, di destinare l'immobile a propria abitazione: i benefici fiscali, infatti (Cass., trib. 17 ottobre 2005 n. 20066; id., trib., 10 settembre 2004 n. 18300; id., trib., 28 marzo 2003 n. 2714; id., trib., 12 marzo 2003 n. 3604, tra le recenti), sono naturaliter subordinati al raggiungimento dello scopo per cui vengono concessi”.

Nel caso di specie, in base agli accertamenti di fatto compiuti dalla Ctr, sembra che il contribuente non abbia mai abitato l’immobile acquistato con le suindicate agevolazioni: inoltre, la variazione urbanistica dimostrava la volontà di elusione della finalità agevolativa di tali disposizioni, ovvero incoraggiare lo sviluppo dell’edilizia abitativa.


Fonte: Agenzia Entrate

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