Il divieto di deduzione fiscale delle svalutazioni dei titoli potrebbe indurre i contribuenti (e i loro consulenti o consiglieri) a trovare una comoda scappatoia, ponendo in essere agevoli operazioni di vendita e riacquisto sul mercato dei titoli, capaci di ottenere indirettamente il medesimo effetto della svalutazione dei titoli.

Tuttavia, nel calcolo costi-benefici si dovrà tenere conto della reazione del Fisco, il quale non rimarrà certo a guardare inerme.

A tal fine, il legislatore tributario ha fornito all'Amministrazione finanziaria uno strumento che, se utilizzato correttamente, è idoneo a incidere fortemente sull'autonomia negoziale dei contribuenti, ogni qual volta la stessa sfoci nella frode alla legge tributaria.

Ci riferiamo alla clausola antielusiva tendenzialmente generale, contenuta nell'articolo 37-bis del Dpr 600/1973. Ebbene, sarà proprio con i requisiti di carattere sostanziale previsti dalla citata disposizione che dovranno fare i conti quei contribuenti che reputeranno "economicamente" conveniente aggirare il divieto di svalutazioni di partecipazioni.

In particolare, un disegno composto da più atti o negozi giuridici tra loro collegati potrà ritenersi elusivo allorché:

anche uno degli atti o negozi giuridici posti in essere rientri nell'elenco tassativo contenuto nel 3° comma

sia finalizzato all'aggiramento di obblighi o divieti dell'ordinamento tributario o, più propriamente detto, sia finalizzato a eludere (cioè "prendersi gioco", dal latino ex-ludere) divieti o obblighi dell'ordinamento tributario

sia finalizzato all'ottenimento di un indebito risparmio d'imposta

sia privo di valide ragioni economiche.

La formulazione letterale della predetta norma impone, dunque, al Fisco di provare la compresenza di tutti i quattro requisiti, mentre il contribuente potrà limitarsi a provarne l'insussistenza anche di uno solo per evitare di essere tacciato di aver eluso le tasse.

Passiamo ora alla verifica di applicabilità dei predetti requisiti al caso prospettato di vendita e riacquisto sul mercato di titoli.

Se si scorre il 3° comma dell'articolo 37-bis, si riscontra agevolmente che la lettera f) colpisce le operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni, aventi a oggetto proprio le partecipazioni societarie.

Perciò, sia la vendita sia il successivo riacquisto sul mercato dei titoli rientrano nell'ambito di applicazione oggettivo della clausola generale antielusiva.

Ciò posto, occorre appurare se il disegno posto in essere sia idoneo ad aggirare obblighi o divieti dell'ordinamento tributario.

Il fondamentale requisito dell'aggiramento può prestarsi a facili fraintendimenti se non è correttamente inteso. In particolare, l'aggiramento di un obbligo o di un divieto tributario non deve essere surrettiziamente trasformato nel divieto di scegliere l'operazione fiscalmente meno onerosa.

È un principio di civiltà giuridica, prima ancora che di diritto positivo, quello secondo cui non si può imporre ai contribuenti di scegliere la soluzione fiscalmente più onerosa nell'esercizio della loro autonomia negoziale.

In presenza di più atti o negozi giuridici astrattamente idonei al conseguimento di un medesimo risultato economico, il contribuente è libero di scegliere quello fiscalmente meno oneroso, senza incorrere in alcun rischio di essere tacciato di "aver eluso" quello fiscalmente più oneroso.

Nell'ambito del nostro ordinamento tributario, l'elusione vera e propria si verificherà solo allorché il contribuente si spinge oltre, prendendosi letteralmente gioco dei divieti e degli obblighi tributari vigenti, "inventandosi" nell'esercizio della sua autonomia negoziale combinazioni di atti e negozi giuridici che, se considerati unitariamente, cioè nella logica del "disegno elusivo", dimostrano la loro preordinazione a frodare la legge tributaria.

Il caso prospettato appare emblematico dello sconfinamento dell'esercizio dell'autonomia negoziale nella frode alla legge tributaria. Infatti, il contribuente, avendo in portafoglio un titolo oramai deprezzato e sapendo che non può svalutarlo con rilevanza fiscale, se ha necessità di cristallizzare la perdita sofferta, dovrà vendere il titolo al prezzo corrente di mercato.

Se il contribuente si limita a vendere sul mercato il titolo oramai deprezzato, realizzando il minor prezzo rispetto al costo di acquisto, dimostra semplicemente di voler smobilizzare definitivamente un cattivo investimento mobiliare.

Il che rende incontestabile da parte del Fisco la perdita sofferta e fiscalmente dedotta.

Tuttavia, il successivo riacquisto di titoli della medesima specie dimostra l'esatto contrario e, cioè, che l'esclusivo obiettivo del contribuente è di "far emergere" la perdita latente senza, però, disfarsi del titolo deprezzato.

Appare, allora, evidente come, in tal modo, il contribuente si sia letteralmente "preso gioco" del divieto di svalutare i titoli con rilevanza fiscale, previsto dal nostro ordinamento tributario, avendo raggiunto il risultato di dedursi la perdita latente senza vendere il titolo, cioè di aver sostanzialmente svalutato il valore del titolo.

Di qui, la legittima reazione del Fisco volta a rendere inopponibile, ai soli fini fiscali, l'intero disegno elusivo posto in essere.

Tuttavia, quanto più è ampio il lasso di tempo intercorrente tra la vendita e il riacquisto del titolo, tanto meno configurabile è un unitario disegno preordinato all'elusione fiscale. La verifica in concreto dell'esistenza di un unitario disegno non potrà che essere effettuata caso per caso.

Il terzo requisito, cioè l'ottenimento di un indebito risparmio d'imposta, è facilmente dimostrabile, consistendo lo stesso nell'indebita fruizione di una perdita su titoli che, con ogni probabilità, sarà andata a compensare guadagni della medesima specie (se il contribuente non è un imprenditore) o redditi di impresa (se il contribuente è un imprenditore).

L'ultimo requisito è la presenza o meno delle valide ragioni economiche.

L'Amministrazione finanziaria avrà facile gioco a dimostrare che l'intero disegno è esclusivamente finalizzato all'ottenimento di un risparmio d'imposta, non potendo ravvisare alcuna ragione economica nella vendita e nel successivo riacquisto sul mercato dei titoli della medesima specie prima venduti.

Spetterà al contribuente dimostrare che così non è.

Ancora una volta decisiva risulterà la scansione temporale dei due negozi giuridici: quanto più sono tra loro ravvicinati (ad esempio, in una sola giornata) tanto più difficile per il contribuente sarà la dimostrazione che la vendita aveva finalità economiche che nulla avevano a che vedere con quelle sottese al successivo riacquisto.

Un'ultima notazione appare necessaria.

Considerata la notevole inventiva che caratterizza gli operatori finanziari, non è da escludere che il medesimo obiettivo della svalutazione dei titoli con rilevanza fiscale sia raggiunto mediante strumenti più sofisticati (quali, ad esempio, i prodotti derivati).

Nella logica della clausola antielusiva generale, ciò che conta è la "sostanza" economica dell'operazione più che la "forma" giuridica di volta in volta utilizzata. Di conseguenza, il ragionamento sopra svolto, opportunamente adattato alla fattispecie concreta, rimarrà concettualmente identico.

Fonte: Agenzia Entrate.

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