A seguito di numerose denunce, la Commissione europea diffidava il Belgio in quanto riteneva sussistente una disparità di trattamento lesiva della libera circolazione dei capitali, tutelata a livello comunitario.  In particolare, si rilevava che le società di investimento con sede legale in Belgio godevano dell’esclusione della ritenuta alla fonte sugli interessi derivanti dai titoli da esse amministrati e gestiti nonché dai titoli depositati o accreditati su conti correnti accesi presso istituti bancari belgi; di tale esclusione non beneficiavano, invece, le società straniere svolgenti le medesime attività finanziarie, le quali erano gravate da imposta sul reddito di capitale del 21% sotto forma di ritenuta alla fonte.
La descritta disparità di trattamento avrebbe avuto l’effetto di favorire gli investimenti effettuati dalle società belghe, incoraggiando, peraltro, un folto numero di mutuatari a richiedere finanziamenti da società nazionali.

La fase precontenziosa
A fronte della diffida della Commissione, il Belgio rendeva i chiarimenti richiesti e proponeva l’adozione di misure maggiormente rispettose della disciplina comunitaria, così confermando implicitamente i rilievi mossi dall’organo di controllo europeo. Tuttavia, dopo l’emanazione di un parere ad hoc, la Commissione registrava il mancato rispetto degli impegni presi e, per tale ragione, proponeva ricorso alla Corte di giustizia.

Le censure della Commissione e le risposte della Corte Ue
La prima censura, relativa alla presunta violazione dell’articolo 63 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea viene superata a piè pari dalla Corte, sulla scorta dell’applicazione del principio dell’onere della prova, in quanto la Commissione sostanzialmente non era riuscita a dimostrare la disparità di trattamento cui sarebbero soggette le imprese d’investimento straniere in determinati casi; in particolare, si tratterebbe di casi limite, come redditi da obbligazioni, buoni di cassa e titoli assimilati o redditi da depositi in contanti.
La rarità di verificazione di tali ipotesi non consentirebbe - continuano gli eurogiudici - di valutare l’incidenza della ritenuta discriminazione fiscale.
La seconda censura, invece, coglie nel segno e i giudici ritengono che il Belgio abbia effettivamente violato gli articoli da 56 a 63 Tfue sulla libera circolazione dei capitali.

Aspetti della libera circolazione di capitali
Sotto tale ultimo profilo, la Corte rileva che effettivamente prevedere l’esenzione dalla ritenuta alla fonte per i soli titoli, certificati di deposito, obbligazioni e simili che generano interessi negoziati esclusivamente presso società belghe comporta un aumento della pressione fiscale sugli investimenti condotti da società di investimento e banche stabilite in altri Paesi UE.
Tale circostanza è idonea a incentivare gli investimenti nazionali a scapito di quelli esteri, e, a fronte di situazioni oggettivamente comparabili, si creano distorsioni nella concorrenza non giustificate da motivi di interesse generale.
L’articolo 56 Tfue richiede, infatti, l’abolizione di tutte le restrizioni alla libera prestazioni di servizi imposta dal fatto che  il prestatore è stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui il servizio e prestato; il medesimo articolo riconosce il diritto  alla libera concorrenza non solo a tutela del prestatore ma anche del destinatario del servizio.

Osservazioni conclusive
Come sancito dal trattato Tfue e confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi assicurano la mobilità delle imprese e dei professionisti all’interno dell’Unione europea.
Ai sensi dell'articolo 54 del Tfue, i professionisti e i lavoratori autonomi nonché  le società che operano legalmente in uno Stato membro possono, dunque, esercitare un'attività economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa (libertà di stabilimento, ex articolo 49 Tfue) oppure offrire e fornire i loro servizi in altri Stati membri su base temporanea pur restando nel loro paese d'origine (libera prestazione dei servizi, ex articolo 56 Tfue).
Ciò presuppone non soltanto l'abolizione di ogni discriminazione basata sulla nazionalità ma anche, al fine di poter realmente usufruire di tale libertà, l'adozione di misure volte a facilitarne l'esercizio, compresa l'armonizzazione delle norme nazionali di accesso o il loro riconoscimento reciproco.
In tal senso è ormai orientata la Corte di giustizia e la sentenza oggi in commento non è che l’ultima tappa di un lungo e tortuoso percorso.


Data della sentenza
29 ottobre 2015

Numero della causa
C-589/2014

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