Il servizio di compravendita di bitcoin, svolto da un cittadino svedese in forma d’impresa, non configura una prestazione di servizi e, quindi, non sconta l’Iva. È la conclusione della Corte di giustizia nella causa C-264-2014, adita dal Fisco svedese. Secondo il parere dei giudici Ue, le operazioni di cambio della valuta virtuale non scontano l’imposta in quanto la moneta elettronica è un ordinario mezzo di pagamento con pieno valore liberatorio.

I fatti in causa
Un cittadino svedese intendeva svolgere, in forma d'impresa, operazioni di cambio della valuta virtuale bitcoin in moneta tradizionale e viceversa; a tal proposito, richiedeva un parere preliminare alla Commissione tributaria locale al fine di conoscere se fosse dovuta o meno l’Iva su tale tipologia di operazioni. La Commissione riteneva sussistente l’esenzione Iva, considerando il bitcoin un ordinario mezzo di pagamento con pieno valore liberatorio, nonostante lo stesso manchi della materialità propria delle banconote e delle monete.

Il contenzioso nazionale
Il Fisco svedese si mostrava, però, di diverso avviso, stabilendo che il servizio di compravendita di bitcoin non ricadesse nell’esenzione Iva bensì configurasse una normale prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso, come tale soggetta all'imposta. Sulla scorta di tale differente valutazione, il Fisco ricorreva alla Corte suprema, la quale - a sua volta - decideva di sospendere il procedimento e di formulare alla Corte di giustizia i seguenti quesiti.

Le questioni pregiudiziali
1) Se l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che le operazioni indicate come cambio di valuta virtuale contro valuta tradizionale e viceversa, effettuato dietro un corrispettivo che il fornitore della prestazione integra all’atto della determinazione dei tassi di cambio, costituiscano prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso;
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 135, paragrafo 1, della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che le operazioni di cambio sopra descritte siano esenti da imposizione.

La decisione
La Corte premette che la valuta virtuale bitcoin non può essere qualificata come “bene materiale”, dato che non ha altre finalità se non quelle di un qualsiasi altro mezzo legale di pagamento; di conseguenza, il suo scambio non configura una cessione di beni bensì una prestazione di servizi.

In merito al primo quesito, relativo al riconoscimento del carattere oneroso di tale tipologia di prestazioni, risulta indifferente - secondo i giudici - il fatto che detta retribuzione non consista nel versamento di una provvigione o nel pagamento di spese specifiche, bensì nella dazione di una somma corrispondente al margine differenziale tra il prezzo di acquisto delle valute a opera della società e quello di vendita ai clienti.
Tale prestazione è esente Iva solo se sussiste un nesso diretto tra il servizio prestato e il corrispettivo ricevuto dall'amministrato, ossia solamente quando tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico sinallagmatico e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio offerto.

Quanto al secondo quesito, le operazioni finanziarie esenti Iva non devono essere necessariamente effettuate tramite banche o istituti finanziari ma vengono definite, per pacifica giurisprudenza, essenzialmente in funzione della natura delle prestazioni di servizi in concreto rese (ad esempio, depositi fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti, assegni ecc.), le quali postulano generalmente un trasferimento di denaro.
Considerato però che l’articolo 135 della direttiva Iva prevede diverse ipotesi di esenzione per le operazioni finanziarie, i giudici valutano sotto quale caso specifico sussumere il fenomeno dello scambio della moneta virtuale bitcoin. Di certo, non sotto la previsione di cui alla lettera d) di detto articolo, in quanto il bitcoin, essendo un mezzo di pagamento contrattuale, non può essere assimilato né ad un conto corrente, né ad un deposito fondi, ovvero a un pagamento o versamento.

Quanto alla lettera e) della stessa norma, essa prevede l’esenzione per le operazioni relative a “divise, banconote e monete con valore liberatorio” ossia a valute tradizionali: dal tenore letterale della norma, tuttavia, non è chiaro se tale disposizione possa essere estesa a valute non tradizionali; l’interpretazione teleologica, secondo la Corte, deporrebbe in tal senso, visto che la finalità ultima dell'esenzione è evitare le difficoltà connesse alla determinazione della base imponibile e dell'importo dell'Iva detraibile che sorgono nel contesto dell'imposizione delle operazioni finanziarie.
A parere dei giudici, la voluntas legis è quella di agevolare la circolazione dei capitali e promuovere le operazioni finanziarie, essendo indifferente la natura reale o virtuale del mezzo di pagamento in concreto scelto, che può essere tanto la moneta classica quanto il bitcoin, al cui scambio pure si deve riconoscere l'esenzione Iva.

La successiva lettera f) dell’articolo 135, infine, si riferisce espressamente alle operazioni riguardanti azioni, quote, obbligazioni societarie che conferiscono la qualità di socio, cui il bitcoin non è certamente assimilabile per natura e funzione.

Conclusioni
1) L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva va interpretato nel senso che costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi di tale disposizione, operazioni, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.
2) L’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva Iva va interpretato nel senso che prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione.
L’articolo 135, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva Iva va interpretato nel senso che siffatte prestazioni di servizi non ricadono nella sfera di applicazione di tali disposizioni.


Fonte:
Data della sentenza
22 ottobre 2015

Numero della causa
C-264/2014

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