Il giudice tributario non può, d’ufficio, dichiarare inapplicabili le sanzioni non penali in assenza di un’espressa richiesta in tal senso avanzata dal ricorrente; l’onere di allegare l’eventuale sussistenza delle “obiettive condizioni di incertezza” di cui all’articolo 8 del Dlgs 546/1992, grava, difatti, sul contribuente.
È questo il principio desumibile dalla sentenza n. 12768 della suprema Corte, dello scorso 19 giugno, avallata da altre pronunce della giurisprudenza di legittimità.

Vicenda processuale
La controversia ha avuto origine in seguito alla notifica, nei confronti di una Srl, di una cartella di pagamento a mezzo della quale veniva richiesto il pagamento di somme dovute a titolo di maggiori imposte per due annualità (Iva, Irpeg, Irap, 2002-2003), oltre che di sanzioni pecuniarie.

La parte privata impugnava l’atto impositivo contestando la legittimità della pretesa erariale ed eccependo, in particolare, la tardività delle iscrizioni a ruolo di cui alla cartella e la conseguente decadenza in cui – a suo avviso – sarebbe incorso l’ufficio.
Inoltre, la ricorrente lamentava, genericamente, un’omessa indicazione dei calcoli operati per addivenire alle somme richieste a titolo di interessi e sanzioni.
L’ufficio si costituiva in giudizio, deducendo l’erroneità delle avverse doglianze e ribadendo la tempestività, la fondatezza e la legittimità del proprio operato.

Il giudizio di primo grado si concludeva con esiti contrapposti, ovvero con l’accoglimento del ricorso relativamente all’annualità 2002 e con il rigetto dello stesso per ciò che concerne il 2003.
L’ufficio, per la parte a sé sfavorevole, proponeva appello, sostenendo la non corretta e insufficiente motivazione adottata dai giudici, i quali non avevano individuato le ragioni per cui l’Amministrazione sarebbe incorsa nella contestata decadenza; a sua volta, la società presentava appello incidentale, lamentando l’inesattezza della sentenza circa la riconosciuta tempestività dell’operato dell’ufficio per l’annualità 2003.

La Commissione tributaria regionale accoglieva l’impugnazione principale dell’ufficio, riconoscendone la tempestività e la fondatezza dell’operato e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava pienamente legittima la cartella notificata alla società; i giudici rigettavano inoltre l’appello proposto in via incidentale dalla contribuente.
Ad avviso della Ctr, erano tuttavia da ritenersi non dovute le somme liquidate a titolo di sanzioni pecuniarie; i giudici di secondo grado provvedevano, pertanto, a disapplicare ex officio le sanzioni irrogate, in considerazione delle obiettive difficoltà interpretative delle norme di riferimento.

Avverso tale ultima statuizione, l’ufficio proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 112 cpc – e la conseguente nullità processuale ex articolo 360 cpc, comma 1, n. 4, – avendo la Ctr deliberato in ordine all’esimente di cui all’articolo 8 del Dlgs 546/1992, senza che la questione costituisse oggetto di controversia, non essendo stata mai dedotta dalla contribuente, nemmeno con i motivi di gravame dell’appello incidentale.
Difatti, la società, nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva contestato la pretesa fiscale in quanto esercitata oltre il termine di decadenza di cui all’articolo 17 del Dpr 602/1973 e perché non motivata in relazione ai criteri di liquidazione degli interessi di mora e delle sanzioni pecuniarie.

Oltre a tale censura, non erano stati svolti ulteriori argomenti volti a impugnare il ruolo in ordine all’applicazione della sanzione pecuniaria: a conclusione del ricorso introduttivo, peraltro, era stato richiesto, in via subordinata, che venissero dichiarate non dovute le somme a titolo di interessi e sanzioni, essendo la tardività “riferibile all’ufficio e non al contribuente”; alcuna censura relativa alla carenza motivazionale del ruolo e della cartella, in punto di determinazione delle sanzioni, era del resto contenuta nell’appello incidentale in cui la società si limitava a dolersi dell’omesso esame, da parte della Ctp, delle eccezioni circa l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo degli interessi senza gli elementi indispensabili al fine del relativo sindacato.

La pronuncia della Cassazione
I giudici di legittimità, con la sentenza 12768/2015, in accoglimento del ricorso dell’Amministrazione finanziaria, come da giurisprudenza consolidata sul punto (cfr. Cassazione nn. 24060/2014, 12422/2011, 5830/2011, 15449/2010, 25676/2008, 14776/2003, 6251/2003 e 4053/2001), hanno ritenuto affetta dal vizio di nullità processuale la statuizione della pronuncia d’appello relativa all’annullamento del ruolo e della cartella in ordine all’irrogazione della sanzione pecuniaria, in quanto resa in extrapetizione.
“La generica richiesta di accertamento della non debenza delle sanzioni, – sostiene la Corte – contenuta nelle conclusioni del ricorso introduttivo, non può evidentemente valere, in un giudizio di tipo impugnatorio-misto, qual è quello tributario (in cui l’oggetto del giudizio è circoscritto dalle ragioni della pretesa fiscale riportate nell’atto opposto e dagli “specifici” motivi di opposizione proposti dal contribuente), a ricomprendere nel thema decidendum anche vizi di nullità del ruolo o della cartella non puntualmente dedotti, quale nella specie la richiesta di applicazione della “esimente”, fondata su presupposti del tutto diversi (obiettiva incertezza sulla portata della norma tributaria violata) da quelli, attinenti ai requisiti formali dell’atto esecutivo, ed ai quali sembra doversi ricollegare la contestazione della carenza di motivazione del ruolo – formato dall’ente impositore e trasfuso nella cartella emessa ai sensi dell’art. 36-bis DPR n. 600/73 e notificata dal Concessionario –, in ordine ai criteri di liquidazione delle sanzioni pecuniarie”.

La pronuncia della Ctr che ha annullato il ruolo e la cartella, in relazione all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie, applicando ex officio la circostanza esimente di cui all’articolo 8 del Dlgs 546/1992, esula dai limiti imposti dal tantum devolutum quantum appellatum e incorre nella violazione dell’articolo 112 cpc, dovendo ritenersi esclusa la rilevabilità di ufficio – in assenza di specifica eccezione del contribuente – dei presupposti applicativi della predetta esimente.

Con l’accoglimento del ricorso, la Corte ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, ha rigettato il ricorso introduttivo proposto avverso l’atto irrogativo delle sanzioni pecuniarie, condannando altresì la società alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.


Fonte: Agenzia Entrate

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