Fatturazione elettronica significa anche conservazione in modalità elettronica del relativo documento. È questo il corollario portato in dote dalla legge di stabilità 2013, con l’ulteriore avvertenza che tale conservazione dovrà avvenire secondo le direttive del Codice dell’Amministrazione digitale, cioè “in conformità alle disposizioni del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’articolo 21, comma 5, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82” (articolo 39, comma 3, del Dpr 633/1972).
Sulla base di questa previsione, nella Gazzetta Ufficiale n. 146/2014, è stato pubblicato il Dm 17 giugno 2014, recante “Modalità di assolvimento degli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto - articolo 21, comma 5, del decreto legislativo n. 82/2005”.
Il provvedimento, entrato in vigore il 27 giugno 2014, ha abrogato e interamente sostituito il precedente Dm 23 gennaio 2004, muovendosi sulla scorta di due direttrici:
l’aggiornamento delle disposizioni relative agli obblighi fiscali collegati ai documenti informatici, nonché alla loro riproduzione su supporti idonei. Ciò al fine di tener conto dell’evoluzione tecnica e normativa nel frattempo intercorsa, come del nuovo Dlgs 82/2005 (Cad) e dei suoi decreti attuativi (Dpcm 22 febbraio e 3 dicembre 2013)
la semplificazione terminologica e degli adempimenti amministrativi, che negli anni avevano ostacolato la diffusione della fatturazione e conservazione elettronica dei documenti rilevanti ai fini fiscali.
In questo senso, il Dm 17 giugno 2014 ha:
fatto proprie le definizioni del Cad e dei relativi decreti attuativi, allineandovi le caratteristiche che i documenti informatici devono possedere. Sotto tale profilo, dunque, il Cad è divenuto il punto di riferimento e di interpretazione per qualunque documento informatico, anche di valenza tributaria
previsto che la comunicazione all’Amministrazione finanziaria della scelta per la conservazione in modalità elettronica venga effettuata attraverso la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di riferimento (la comunicazione, avente precipue finalità statistiche, si effettua valorizzando i righi RS140 e RS104 o RS40 rispettivamente dell’Unico PF e SC/SP)
eliminato la comunicazione dell’impronta degli archivi digitali all’Agenzia delle Entrate. Tale comunicazione, è bene sottolineare, non sarà più necessaria nemmeno per gli archivi formati in vigenza delle precedenti disposizioni (risoluzione n. 4/2015)
rivisto il processo di assolvimento dell’imposta di bollo sui documenti informatici
eliminato il vincolo temporale dei quindici giorni per la conservazione delle fatture elettroniche (prima presente solo in Italia e unanimemente considerato uno dei maggiori ostacoli alla diffusione della fatturazione elettronica).
In merito a quest’ultimo punto, vale a dire sui tempi della conservazione, è opportuna qualche precisazione.
Termini e modalità di conservazione dei documenti informatici rilevanti ai fini fiscali, fatture in primis, sono disciplinati, in via generale, dall’articolo 3 del Dm 17 giugno 2014.
La norma prevede che la conservazione avvenga in maniera tale da:
rispettare la legislazione vigente, ossia nello specifico, l’articolo 2220 del codice civile, le disposizioni del Cad e le “altre norme tributarie riguardanti la corretta tenuta della contabilità”
consentire le funzioni di ricerca e di estrazione delle informazioni dagli archivi informatici, in relazione a: cognome, nome, denominazione, codice fiscale, partita Iva, data o associazioni logiche dei precedenti elementi, laddove tali informazioni siano obbligatoriamente previste.
Ulteriori funzioni, chiavi di ricerca ed estrazione, potranno essere stabilite in relazione alle diverse tipologie di documento con appositi provvedimenti delle competenti Agenzie fiscali.

Il processo di conservazione dei documenti informatici, da effettuarsi nel termine previsto dall’articolo 7, comma 4-ter, del Dl 357/1994, secondo il quale “… la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio per il quale i termini di presentazione delle relative dichiarazioni annuali non siano scaduti da oltre tre mesi, allorquando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”, terminerà con l’apposizione di un riferimento temporale opponibile a terzi sul pacchetto di archiviazione.

In merito a questi due ultimi elementi, va notato che:
il limite temporale per procedere alla conservazione coincide, in generale, con il termine per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi aumentato di tre mesi e, come detto, sostituisce la previgente cadenza quindicinale (per le fatture) e annuale (per tutti gli altri documenti) prevista dall’articolo 3, comma 2, del Dm 23 gennaio 2004, che vengono così allineate. Tuttavia, l’utilizzo, all’interno dello stesso articolo 7, comma 4-ter, del plurale “dichiarazioni annuali”, fa intendere come il termine si riferisca tanto a quella dei redditi, quanto a quella Iva, laddove presentata in via autonoma (ricordiamo che dal 2017, per il periodo d’imposta 2016, la presentazione in via autonoma, entro il 28 febbraio, diverrà esclusiva – articolo 10, comma 8-bis, Dl 192/2014). Pertanto, il termine entro cui completare il processo di conservazione di una fattura elettronica sarà legato all’esercizio di emissione e cadrà necessariamente non oltre il terzo mese successivo a quello ultimo di presentazione delle relative dichiarazioni.
A tal proposito, proponiamo alcuni esempi costruiti su un’interpretazione prudenziale della norma, che tiene in considerazione la prima dichiarazione utile presentata. Deve rilevarsi, però, che sarebbe possibile una diversa interpretazione che valorizzi la tipologia di documento e la dichiarazione nella quale esso deve risultare (per le fatture, tipicamente, la dichiarazione Iva). Tuttavia, vista la rilevanza “incrociata” di alcuni documenti informatici (fatture e non solo), tale ulteriore interpretazione è remota, in quanto foriera di possibili diverse letture tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Nella specie, per un documento emesso il 1° luglio 2015:
esercizio coincidente con l’anno solare: conservazione da concludere entro il 31 dicembre 2016 (terzo mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione redditi/Iva)
esercizio non coincidente con l’anno solare (per ipotesi, 1 giugno 2015 - 31 maggio 2016): conservazione da concludere entro il 31 dicembre 2016 (terzo mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione annuale Iva)
esercizio non coincidente con l’anno solare (per ipotesi, 1 ottobre 2014 – 30 settembre 2015): conservazione da concludere entro il 30 settembre 2016 (terzo mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi).
il riferimento temporale si identifica con “l’informazione contenente la data e l’ora con riferimento al Tempo Universale Coordinato (UTC), della cui apposizione è responsabile il soggetto che forma il documento” (cfr allegato 1 al Dpcm 3 dicembre 2013). Lo stesso, come anticipato, deve essere:
opponibile ai terzi
apposto sul pacchetto di archiviazione.
Quanto all’opponibilità a terzi di data e ora di formazione del documento elettronico, va rammentato che la stessa, in base all’articolo 1 del Cad, discende dalla “validazione temporale”, ossia è il risultato di un’apposita procedura informatica (disciplinata dai Dpcm emanati in base all’articolo 20 dello stesso Cad) che si sostanzia, nella normalità, nell’apposizione di un’ulteriore firma digitale da parte di un soggetto terzo, definita “marca temporale” (cfr articolo 1 del Dpcm 22 febbraio 2013).

In merito alle fasi del processo di conservazione, costituiscono oggetto della stessa i “pacchetti informativi”, definiti nell’allegato 1 del Dpcm 3 dicembre 2013 come contenitori che racchiudono “uno o più oggetti da conservare (documenti informatici, fascicoli informatici, aggregazioni documentali informatiche), oppure anche i soli metadati riferiti agli oggetti da conservare”. Vale a dire l’insieme di dati associati a quegli oggetti, per identificarli e descriverne il contesto, il contenuto e la struttura, nonché per permetterne la gestione nel tempo all’interno del sistema di conservazione. L’articolo 4 del Dpcm 3 dicembre 2013 ne individua tre: versamento, archiviazione, distribuzione.

Il sistema di conservazione dovrà, dunque, consentire la gestione di:
pacchetti di versamento, ossia pacchetti informativi inviati dal produttore al sistema di conservazione secondo un formato predefinito e concordato, descritto nel manuale di conservazione (considerato che il versamento dà luogo, anche in modo automatico, alla generazione di un apposito rapporto – inviato al versante – relativo a uno o più pacchetti di versamento, univocamente identificato dal sistema di conservazione e contenente un riferimento temporale, specificato con riferimento al tempo universale coordinato – Utc – e una o più impronte, calcolate sull’intero contenuto del pacchetto di versamento, secondo le modalità descritte nel manuale di conservazione, si può ritenere che tale rapporto costituisca utile riferimento per la decorrenza del termine previsto dall’articolo 35 del Dpr 633/1972, laddove la conservazione non sia gestita in proprio, ma tramite terzi)
pacchetti di archiviazione (Pda), vale a dire pacchetti informativi composti dalla trasformazione di uno o più pacchetti di versamento, secondo le specifiche contenute nell’allegato 4 del Dpcm e le modalità riportate nel manuale di conservazione
pacchetti di distribuzione (pacchetti informativi inviati dal sistema di conservazione all’utente in risposta a una sua richiesta).
Tra le specifiche tecniche, l’allegato 4 del Dpcm appena richiamato prevede, obbligatoriamente per i pacchetti di archiviazione, che il soggetto che interviene nel processo di produzione apponga il riferimento temporale (da intendersi come un generico riferimento temporale o anche una marca temporale) e la firma digitale, o la firma elettronica qualificata, sull’evidenza informatica associata a ogni Pda (Ipda) avente una struttura informatica predefinita.
A ciò, si aggiunge la necessità che i documenti da archiviare utilizzino i formati previsti dal Cad ovvero scelti dal responsabile della conservazione (il quale ne fornisce motivazione nel manuale di conservazione), atti a garantire l’integrità, l’accesso e la leggibilità nel tempo del documento informatico (cfr allegato 2 del Dpcm 3 dicembre 2013).

Da ultimo, va detto che, ai sensi dell’articolo 14 del Dpcm, i sistemi di conservazione già esistenti devono essere adeguati entro l’11 aprile 2017 (ossia, 36 mesi dopo l’entrata in vigore dello stesso Dpcm, avvenuta l’11 aprile 2014).

Per le Pa solo conservatori accreditati
In attuazione dell’articolo 44 del codice dell’Amministrazione digitale, il Dpcm 3 dicembre 2013 ha stabilito che la conservazione dei documenti elettronici può essere svolta:
all’interno della struttura organizzativa del soggetto produttore dei documenti informatici da conservare
affidandola, in modo totale o parziale, ad altri soggetti, pubblici o privati, che offrono idonee garanzie organizzative e tecnologiche, anche accreditati come conservatori presso l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid).
Tuttavia, quella che per i privati è configurata come una possibilità, diventa obbligo per le Pa, le quali, se non vogliono conservare in proprio i documenti, dovranno necessariamente affidarsi a conservatori accreditati (cfr articolo 5, comma 3, del Dpcm 3 dicembre 2013).

I conservatori accreditati potranno essere sia pubblici sia privati. Questi ultimi, in particolare, oltre ai requisiti di cui si dirà in seguito, devono avere forma giuridica di società di capitali e un capitale sociale di almeno 200mila euro, nonché garantire il possesso, oltre che da parte dei rappresentanti legali, anche da parte dei soggetti preposti all’amministrazione e da parte dei componenti degli organi preposti al controllo, dei requisiti di onorabilità richiesti a coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le banche (Dlgs 385/1993).

Con la circolare 65/2014, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 13 del Dpcm 3 dicembre 2013, l’Agid ha definito le modalità per l’accreditamento e la vigilanza sui soggetti che svolgono attività di conservazione, indicando:
i requisiti di affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria da possedere
le competenze professionali da impiegare
lo standard minimo di procedure e metodi (di amministrazione, gestione, conservazione e protezione) da utilizzare
la documentazione necessaria per dimostrare il possesso dei requisiti e l’iter istruttorio della domanda di accreditamento
le attività di vigilanza che saranno svolte.
Va comunque notato che – sia nell’ipotesi in cui procedano in proprio alla conservazione sia qualora si avvalgano di interlocutori accreditati – i dati delle Pa dovranno comunque essere mantenuti sul territorio nazionale (articolo 9 dello stesso Dpcm), con significativa differenza rispetto ai privati, i quali non solo potranno avvalersi di soggetti non accreditati, ma anche ubicare all’estero i server necessari allo stoccaggio dei dati, purché si tratti del territorio di Stati con cui esiste uno strumento giuridico che disciplini la reciproca assistenza e ne diano comunicazione all’Amministrazione finanziaria (cfr articolo 39, comma 3, del Dpr 633/1972. Come confermato dalla circolare n. 18/E del 2014, la comunicazione avviene utilizzando i modelli AA7, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, e AA9, per ditte individuali e lavoratori autonomi, nei termini previsti dall’articolo 35 del Dpr 633/1972.



Fonte: Agenzia Entrate

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