La disciplina del meccanismo dell’inversione contabile “esclude che il cedente o prestatore non residente sia tenuto all’emissione della fattura (e ai conseguenti adempimenti di annotazione e dichiarazione), tramite il numero identificativo Iva italiano” (articolo 17, secondo comma, Dpr 633/1972). L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 21/E del 20 febbraio 2015 fornisce l’interpretazione corretta della norma.

Posto che l’Iva relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia, rese da soggetto passivo estero (Ue o extra Ue), deve sempre essere assolta dal cessionario o committente soggetto passivo residente in Italia, mediante l’applicazione del reverse charge, vediamo la consulenza giuridica richiesta agli uffici fiscali, per fare chiarezza sul secondo comma dell’articolo 17 del Dpr 633/1972.

Il quesito
Sono stati chiesti chiarimenti in merito al caso in cui un contribuente italiano, dopo aver acquistato beni, che sono già nel nostro Paese, presso il rappresentante fiscale di un fornitore estero, riceve la fattura, emessa dallo stesso rappresentante (con partita Iva italiana), senza l’addebito Iva ai sensi dell’articolo 17, comma secondo, del Dpr 633/1972, e senza indicazione alcuna della partita Iva del fornitore estero.

La domanda, che verte appunto sulla fattura “italiana”, è se questa sia sufficiente o debba, invece, il contribuente richiedere un’altra fattura emessa direttamente dal fornitore estero o in alternativa procedere all’autofatturazione.

Il parere delle Entrate
Lo stesso contribuente, peraltro, espone già la soluzione interpretativa corretta della norma sull’inversione contabile, sulla quale i tecnici fiscali si trovano concordi.
Il documento emesso con partita Iva italiana dal rappresentante fiscale di un soggetto passivo estero residente nella Ue (o fuori dalla Ue), per una cessione effettuata nei confronti di un soggetto passivo Iva residente in Italia, è da considerare non rilevante come fattura ai fini Iva e deve essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal fornitore estero oppure il soggetto Iva italiano deve procedere all’autofatturazione per regolarizzare l’operazione.

Il cessionario italiano, quindi, deve:
numerare la fattura del fornitore estero, integrarla con il corrispettivo tradotto in euro e con gli altri elementi che formano la base imponibile dell’operazione, nonché dell’ammontare dell’Iva, calcolata secondo l’aliquota applicabile (articolo 46, comma 1, Dl 331/1993)
annotare la fattura integrata nel registro Iva vendite (articolo 23, Dpr 633/1972), entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione, con l’indicazione anche del corrispettivo espresso in valuta estera (articolo 47, comma 1, primo periodo, Dl 331/1993, come sostituito dall’articolo 1, comma 326, lettera f), n. 1), legge 228/2012, a decorrere dal 1° gennaio 2013)
annotare la stessa fattura integrata anche nel registro Iva acquisti (articolo 25, Dpr 633/1972), per poter esercitare la detrazione eventualmente spettante (articolo 47, comma 1, terzo periodo, Dl 331/1993)
emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello dell’operazione – nel caso di mancata ricezione della fattura del fornitore estero entro il secondo mese successivo all’operazione – e annotarla entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (articoli 46, comma 5, e 47, comma 1, secondo periodo, del Dl 331/1993).
Infine, l’odierna risoluzione 21/E precisa che è comunque consentito al rappresentante fiscale di un soggetto estero – per le proprie esigenze – emettere nei confronti del cessionario residente un documento non rilevante ai fini Iva, con indicazione della circostanza che l’imposta afferente tale operazione verrà assolta dallo stesso cessionario.


Fonte: Agenzia Entrate

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