Con una serie di sentenze (2 luglio 2014, nn. 15032, 15037, 15036, 15035, 15034 e 15033; 9 maggio 2014, n. 10070; 7 maggio 2014, nn. 9803, 9802, 9801, 9800 e 9799; 3 febbraio 2014, nn. 2260, 2259, 2258, 2257 e 2256; 13 settembre 2013, nn. 20964, 20963, 20962, 20961 e 20960), la Corte di cassazione si è pronunciata nell’ambito di una controversia volta ad acclarare la legittimità dell’avviso di rettifica dell’accertamento doganale emesso nei confronti della società ricorrente, che aveva beneficiato di un trattamento daziario agevolato per l’importazione di carni bovine congelate da Paesi extracomunitari.

Nel caso di specie, l’Amministrazione doganale aveva contestato a diverse società l’indebita fruizione del predetto beneficio daziario in ragione dei “legami” accertati tra le società stesse – riconducibili al medesimo soggetto, ai sensi dell’articolo 143 del regolamento (Cee) n. 2454/1993 – che integravano la condizione ostativa prevista dalla normativa comunitaria di riferimento (Regolamento Ce n. 780/2003 del 7 maggio 2003) per il rilascio dei certificati d’importazione Agrim e l’accesso alle quote del relativo contingente tariffario.

La società ricorrente ha impugnato la sentenza di appello sostenendo, tra l’altro, la violazione del principio del rispetto dei diritti di difesa e del contraddittorio, nonché l’inapplicabilità del procedimento di revisione dell’accertamento doganale nella fattispecie oggetto della controversia.
Sotto il primo profilo, la ricorrente ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento in rettifica, in quanto non sarebbe stato osservato il principio di assicurazione del preventivo contraddittorio nella fase antecedente l’emissione dell’atto impositivo; principio che, come già affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza 18 dicembre 2008, nella causa n. C-349/07, trova applicazione anche nella materia doganale.

Al riguardo, la Cassazione rileva che il procedimento di revisione dell’accertamento doganale, di cui all’articolo 11 del Dlgs n. 374/1990, è regolato da uno “jus speciale” e risulta preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, con conseguente inapplicabilità della disciplina in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali (cfr articolo 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, emanato con la legge n. 212/2000). Tale orientamento trova, peraltro, conferma nell’intervento legislativo recentemente disposto con l’articolo 92, comma 2, decreto legge n. 1/2012, che ha modificato il citato articolo 12, nel senso di precisare definitivamente che il procedimento che regola gli accertamenti in materia doganale è disciplinato in via esclusiva dall’articolo 11 del Dlgs n. 374/1990.

I giudici di legittimità hanno dunque ritenuto compatibile la disciplina normativa nazionale (articolo 11, Dlgs n. 374/1990) con la pronuncia interpretativa resa dalla Corte di giustizia il 18 dicembre 2008, nella causa n. C-349/07, affermando peraltro che la prima già prevedeva una forma di garanzia del contraddittorio anticipato con l’operatore doganale.

Sotto il profilo dell’inapplicabilità, nella fattispecie oggetto della controversia, del procedimento di revisione dell’accertamento doganale, che la società ricorrente sosteneva dover essere preceduto dalla preventiva revoca dei benefici daziari (competenza riservata, unitamente all’accertamento della falsità dei titoli Agrim, in via esclusiva al ministero delle Attività produttive, in quanto organismo emittente dei documenti in questione), la Cassazione ha respinto le argomentazioni fornite dalla parte ricorrente, volte a circoscrivere a taluni tassativi vizi della dichiarazione doganale l’esercizio del potere di accertamento degli uffici finanziari.

E, invero, secondo i giudici di legittimità, è sufficiente in proposito rilevare come la onnicomprensiva formulazione dell’articolo 11 del Dlgs n. 374/1990 (sostanzialmente riprodotta nell’articolo 78, paragrafo 3, del codice doganale comunitario: “Quando dalla revisione ... risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti od incompleti ...”) si estenda a qualsiasi ipotesi di mancata o inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo ritenersi in essa unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe”, che quelle concernenti “l’erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”; conclusione che trova dirimente conferma nella disposizione dell’articolo 220, paragrafo 1, del medesimo codice doganale, secondo cui si procede al recupero del dazio risultante da un’obbligazione doganale tutte le volte in cui il relativo importo “non sia stato contabilizzato ...o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto”, indipendentemente quindi se ciò sia o meno dipeso da un errore o un’inesattezza dell’Amministrazione doganale inerente al calcolo ovvero inerente alla individuazione e classificazione della merce.

Come rileva la Cassazione, nel caso di specie, la società ricorrente ha corrisposto il dazio all’importazione in misura inferiore all’importo legalmente dovuto (non potendo fruire della agevolazione daziaria prevista per il contingente in ordine al quale aveva indebitamente ottenuto l’assegnazione delle relative quote) e tanto basta a integrare il presupposto che legittima l’accertamento in revisione della dichiarazione doganale a posteriori.
La censura inerente al mancato previo accertamento della falsità dei titoli Agrim non trova pertanto alcun fondamento, non essendo dato individuare alcuna norma nazionale o comunitaria che espressamente subordini il recupero del dazio alla previa revoca dei titoli Agrim.


Fonte: Agenzia Entrate

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