La Corte di cassazione, con la sentenza 23550 del 5 novembre, ha ribadito il principio per cui la presenza dì scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile.

I fatti di causa
A seguito di pvc della Guardia di finanza, un ufficio lombardo notificava a una Srl tre avvisi di accertamento e tre avvisi di rettifica, con i quali venivano recuperate a tassazione l’Irpeg, l’Ilor e l’Irap indebitamente dedotte e l’Iva illegittimamente detratta, su operazioni ritenute dall’Amministrazione finanziaria inesistenti, per gli anni d’imposta 1996, 1997 e 1998.
Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente, con distinti ricorsi, poi riuniti, dinanzi alla Ctp di Brescia, che li accoglieva.
Appellava la descritta pronuncia l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate e la Ctr della Lombardia ne accoglieva parzialmente le doglianze, ritenendo comprovata la sola ipotesi di utilizzazione, da parte della contribuente, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

Il ricorso della società
Ricorreva avanti la Corte suprema di cassazione la Srl, affidando il ricorso a quattro motivi di diritto.
Anzitutto, la società lamentava un vizio di omessa pronuncia e un vizio di extrapetizione nella sentenza della Ctr. Con la terza doglianza, poi, la società eccepiva che i giudici di seconda istanza avessero fondato il proprio convincimento, quanto all’Iva indebitamente detratta in relazione a fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, su elementi inidonei a costituire fonte di presunzioni fornite dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza. Infine, la Ctr, nella prospettazione della società, avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sul rilievo della contribuente, secondo cui i costi dedotti, imputati al conto dei profitti e delle perdite, fossero stati effettivamente sostenuti, essendo state le operazioni a essi relative poste in essere da soggetti diversi da quelli indicati in contabilità.
L’Amministrazione finanziaria si costituiva con controricorso.

Le motivazioni della pronuncia
Superato per motivi di rito il primo punto del ricorso ed escluso il vizio di extrapetizione ipotizzato dalla ricorrente nella seconda censura, la Cassazione – nella sua lunga e articolata decisione – osserva che, nella determinazione dell’Iva, la detrazione di cui all’articolo 19 del Dpr 633/1972 non si relaziona alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’Iva sia effettivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda a operazioni effettivamente poste in essere e a essa soggette, in coerenza con quanto prescritto dalla direttiva Iva.
A tal fine, pure a fronte della regolarità formale della contabilità, l’Amministrazione finanziaria può contestare la fittizietà delle operazioni e l’inattendibilità delle scritture contabili e delle fatture utilizzate dal contribuente per le operazioni passive, ancorché sulla base di presunzioni semplici, spettando perciò al contribuente la prova sulla verità e inerenza delle medesime operazioni (cfr Cassazione, sentenze 12756/2002, 8959/2003, 17959/2013 e 15068/2013).

Nel caso in questione, osserva la Cassazione, la Ctr ha esposto in sentenza gli elementi di carattere presuntivo – forniti dei requisiti della gravità, precisione e concordanza richiesti dalla norma succitata – posti a fondamento dell’accertamento fiscale, ossia:
la mancanza di adeguate strutture operative in capo ad alcune società emittenti le fatture contabilizzate e utilizzate dalla ricorrente ai fini della detrazione dell’Iva
la sentenza penale di condanna del legale rappresentante della società contribuente, costituente, anche se non passata in giudicato, un elemento valutabile, sul piano indiziario, da parte del giudice tributario (cfr Cassazione, sentenza 4924/2013)
la mancata ricezione effettiva della merce, in apparenza fornita da alcune società, da parte della contribuente, circostanza nota al legale rappresentante della società.
Inoltre, continua la Cassazione, va considerato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti) maggiori ricavi o minori costi.

Di contro, grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente correttezza delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (cfr Cassazione, sentenze 24532/2007, 951/2009, 7871/2012 e 14069/2014).
E, nel caso concreto, se la Ctr aveva esposto in sentenza gli elementi di carattere indiziario e presuntivo giustificanti la rettifica, nessun elemento di prova di segno contrario risultava – per contro – fornito dalla società contribuente.

Osservazioni conclusive
La pronuncia in questione conferma il consolidato orientamento in ordine al riparto dell’onere della prova, in caso di contestazione di operazioni inesistenti.
Nel caso in rassegna, come osservato, vi erano plurimi elementi a sostegno della falsità delle operazioni considerate e, conseguentemente, delle fatture. L’ufficio, come ha riconosciuto la Corte suprema, ha fatto ricorso a elementi indiziari ma oggettivi, che dimostravano in modo sufficientemente certo l’inesistenza delle operazioni: a fronte di tali rilievi, vi è un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, che non può addurre la mera regolarità contabile delle operazioni stesse.
Se ciò venisse concesso, verrebbero meno i principi di detrazione Iva legati alla certezza del costo e ancorati alla realtà dell’operazione, imprescindibili per la coerenza del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, come elaborato in sede europea.


Fonte: Agenzia Entrate

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