La Corte suprema, con la sentenza 19464 del 15 settembre, dopo il pronunciamento delle Sezioni unite (sentenza 9560/2014), è tornata sul tema delle concessioni governative per l’impiego di apparecchiature radiomobili, ribadendo la legittimità della tassa per ricorrenza del presupposto impositivo e il relativo obbligo di corresponsione da parte dei Comuni.
Difatti, nella ricordata sentenza si legge testualmente che “Alla stregua dell'interpretazione offerta dalle Sezioni Unite all'art. 318 del Codice postale (ora D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160)……… si deve concludere per l'applicabilità agli abbonamenti per il servizio di telefonia cellulare della tassa di concessione governativa come disciplinata dall'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972; nonchè per l'applicabilità di tale tassa ai comuni”.

Sulla questione, peraltro, è intervenuto lo stesso Governo che, con il Dl 4/2014, ha inserito una norma retroattiva (articolo 2, comma 4), con la quale viene stabilito espressamente che “per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”, ammettendo anche per i cellulari il pagamento della relativa tassa.

Il fatto
Un Comune presentava all’ufficio territorialmente competente istanza di rimborso di quanto versato in materia di tasse sulle concessioni governative.
Al silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, seguiva giudizio in Ctp, dove la parte ricorrente eccepiva la non debenza della tassa per intervenuta abrogazione della normativa e per carenza del presupposto soggettivo.
I giudici di merito accoglievano il ricorso; stesso verdetto in appello.
In particolare, la Ctr Lombardia chiariva che “a seguito della liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettronica recata dal D.Lgs. n. 259 del 2003 e della conseguente abolizione del relativo regime di concessione governativa, sarebbe venuto meno lo stesso presupposto impositivo della tassa in questione”.

L’ufficio ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 21 della tariffa allegata al Dpr 641/1972, considerato che il contratto di abbonamento rilasciato dal gestore telefonico sostituisce, a tutti gli effetti, la “licenza di stazione radio”, e i Comuni non sono esentati dal pagamento della relativa tassa.

La decisione
Smentita l’interpretazione della Ctr, secondo cui lo stesso presupposto impositivo del tributo sarebbe venuto meno dopo la liberalizzazione dei servizi di comunicazione introdotta dal decreto legislativo 259/2003, è ovvio il richiamo alla sentenza 9565/2014 delle Sezioni unite, con cui si è preso atto della norma di interpretazione autentica dettata dall’articolo 2, comma 4, Dl 4/2014 (“Per gli effetti della Tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, art. 21, le disposizioni dell’art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”).
Tale disposizione, si legge nella pronuncia in rassegna, è una norma di interpretazione autentica e, dunque, ha natura retroattiva, posto che la “normativa è intervenuta a fare chiarezza in un contrasto interpretativo che ha diviso la giurisprudenza in sede sia di merito sia di legittimità, tanto da arrivare al collegio esteso”.
Funzione, quest’ultima, riconosciuta come legittima dalla giurisprudenza costituzionale “anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (cfr Corte costituzionale, decisione 209/2010).

La Corte suprema, inoltre, ricorda che l’abrogazione dell’articolo 318 del Dpr 156/1973, operata dall’articolo 218 del Dlgs 259/2003, recante il nuovo “Codice delle comunicazioni”, non ha comportato l’implicita soppressione dell’articolo 21 della tariffa allegata al Dpr 641/1972, ossia il venir meno del presupposto giuridico per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative sui contratti di abbonamento di telefonia mobile.
Infatti, l’articolo 21 assoggetta alla tassa sulle concessioni governative, la “licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, e articolo 3 del decreto-legge 13 maggio 991, n. 151, convertito con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202)”.
In materia di telefonia mobile, il presupposto oggettivo del tributo è rappresentato dal “documento sostitutivo” della licenza, ossia il contratto di abbonamento con gli operatori telefonici autorizzati (ex articolo 3, comma 2, del Dm 33/1990), per effetto del quale l’utente è legittimato all’utilizzo dell’apparecchiatura.

Il decisum delle Sezioni unite (sentenza 9565/2014), evidenziano i giudici, ha altresì escluso per gli enti locali l’esenzione dalle tasse di concessione governativa.
Le norme che prevedono trattamenti agevolati in materia tributaria costituiscono una deroga alla regola generale e sono perciò di stretta interpretazione.
L’esonero dei Comuni dal pagamento della tassa non è previsto né dall’articolo 13-bis del Dpr 641/1972, che individua espressamente le esenzioni a carattere generale dal pagamento del tributo in questione, né dalla nota posta in calce all’articolo 21 della tariffa, che individua i casi specifici in cui la tassa sulle concessioni governative per l’impiego degli apparecchi di telefonia mobile non è dovuta.
Né, sottolinea la Corte, come già rilevato dalle Sezioni unite, è possibile ammettere la predetta esenzione in conseguenza di una equiparazione, ai fini tributari, dei Comuni allo Stato, in forza della generale esenzione dall’Ires di tutte le amministrazioni pubbliche disposta dall’articolo 74, comma 1, del Tuir. Lo stesso articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, non a caso, tiene ben distinti, “i Comuni dalle Amministrazioni dello Stato, pur attribuendo agli uni alle altre la natura di amministrazioni pubbliche (…)”.

Secondo i giudici, inoltre, anche la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo appare solidamente orientata nel senso di escludere che la disciplina europea dei servizi di comunicazione elettronica contenga prescrizioni incompatibili con una norma interna che imponga un tributo a carico degli utenti dei servizi di telefonia cellulare. Una riprova di tale affermazione sarebbe rinvenibile nella sentenza 27 giugno 2013, in causa C-71/12, Vodafone Malta, nella quale si precisa che un tributo imposto agli operatori che forniscono servizi di telefonia mobile, corrispondente a una percentuale dei pagamenti che essi ricevono dagli utenti di detti servizi, non osta alla disciplina dettata dalla direttiva 2002/20/Ce “a condizione che il suo fatto generatore non sia collegato alla procedura di autorizzazione generale che consente di accedere al mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche, ma sia collegato all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori e che esso ricada in definitiva sull’utente di tali servizi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
Secondo la Corte, la tassa di concessione governativa di cui si discute è collegata all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori e grava sugli utenti di tali servizi.

In definitiva, il titolo di abbonamento, che tiene luogo della licenza, richiamato anche dall’articolo 160 del Dlgs 259/2003, è, allo stato attuale, il presupposto della tassa di concessione governativa, mentre l’articolo 21 della tariffa, allegata al Dpr 641/1972, conserva perfettamente le proprie caratteristiche di fonte normativa della tassa sulle concessioni governative sul servizio di telefonia mobile.

Sotto il profilo soggettivo, invece, è da escludere l’esenzione per i Comuni, visto che le agevolazioni in materia fiscale necessitano di una norma ad hoc, che nel caso di specie manca proprio con riferimento agli enti locali.


Fonte: Agenzia Entrate

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