Una società che svolge attività di consulenza finanziaria alle imprese rientra nella definizione di “società finanziaria” (articolo 59, Dlgs 385/1993); essendo equiparata agli istituti di credito e agli enti finanziari, deve applicare la maggior aliquota Irap prevista per tali soggetti.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 16465/2014.

I fatti
Una società per azioni (operante nel settore della consulenza e assistenza in operazioni finanziarie) ha impugnato il silenzio - rifiuto opposto dall’ufficio all’istanza di rimborso, con la quale chiedeva la restituzione dell’Irap corrisposta dal 2000 al 2003.
I giudici di primo grado hanno accolto la richiesta (subordinata) di rimborso della quota parte dell’imposta versata secondo la maggiore aliquota prevista, per le banche e gli enti finanziari, dall’articolo 45, Dlgs 446/1997, e dall’articolo 1, comma 1, legge regionale 33/2002 della Lombardia. Era, cioè, legittima la restituzione dell’eccedenza versata rispetto all’aliquota base.
La decisione è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, pur risultando formalmente inclusa tra i soggetti che devono redigere il bilancio secondo gli schemi propri degli “enti creditizi e finanziari” (ex articolo 1, comma 1, Dlgs 87/1992, emanato in attuazione della direttiva 86/635/Cee), la società non possedeva, in relazione all’attività esercitata, i “requisiti sostanziali di appartenenza al settore bancario e finanziario”.
Proprio perché svolgeva consulenza ordinaria in ambito bancario e finanziario, cioè, un’attività identica a quella di una qualsiasi società di consulenza operante in altri settori, doveva applicarsi l’aliquota base Irap.

Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate, che ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione di legge (articolo 1, Dlgs 87/1992; articolo 45, comma 2, Dlgs 446/1997; articoli 1 e 59, Dlgs 385/1993, e articolo 1, comma 1, legge regionale Lombardia 33/2002), anche alla luce di quanto dichiarato dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio, cioè di svolgere “attività di consulenza e assistenza nell’ideazione e attuazione di operazioni finanziarie; fusioni, acquisizioni e simili”.

La Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la società, “esercitando (dato questo non contestato) …, in via esclusiva o prevalente, attività di consulenza alle imprese in operazioni finanziarie, … è per definizione una ‘società finanziaria’, assimilata agli istituti di credito ed agli enti finanziari, in relazione alla quale la legge istitutiva dell’IRAP (e la legge regionale lombarda del 2002) hanno previsto … l’applicazione di una maggiore aliquota sul valore della produzione netta …”.

Osservazioni
La Corte ha deciso la controversia nel merito partendo dalla ricostruzione sistematica delle disposizioni vigenti all’epoca dei fatti e verificando che la pronuncia adottata fosse conforme ai principi costituzionali.
Nello specifico, l’articolo 45, comma 2, Dlgs 446/1997, disponeva che “… Per i soggetti di cui agli articoli 6 e 7, per i periodi d’imposta in corso al 1 gennaio 1998, al 1 gennaio 1999 e al 1 gennaio 2000 l’aliquota è stabilita nella misura del 5,4 per cento; per i due periodi d’imposta successivi, l’aliquota è stabilita, rispettivamente, nelle misure del 5 e del 4,75 per cento”.
Il richiamato articolo 6, al comma 1, prevedeva le modalità di determinazione della base imponibile per le banche e gli altri enti e società finanziari, indicati nell’articolo 1, comma 1, lettera e), Dlgs 87/1992, tra i quali erano comprese anche le “società esercenti altre attività finanziarie indicate nell’articolo 59, comma 1, lettera b)” del Testo unico delle leggi bancarie (Dlgs 385/1993).
La Corte ha sottolineato che la società, esercitando, in via esclusiva o prevalente, attività di consulenza alle imprese in operazioni finanziarie (dato, questo, non contestato), doveva ritenersi per definizione una “società finanziaria”, secondo la definizione del citato articolo 59, comma 1, lettera b), assimilata agli istituti di credito e agli enti finanziari, in relazione alla quale la legge istitutiva dell’Irap e la legge regionale lombarda del 2002 hanno previsto l’applicazione di una maggiore aliquota sul valore della produzione netta calcolata secondo legge.

Nel caso concreto, infatti, la contribuente risultava essere una società esercente, in via esclusiva o prevalente, le altre attività finanziarie di “consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché consulenza e servizi nel campo delle concentrazioni e del rilievo di imprese”, previste dall’articolo 1, comma 2, lettera f), n. 9, Tulb.

La Corte, infine, ha evidenziato che la previsione di aliquote d’imposta differenziate per settore di attività, pur a fronte di diversi criteri di computo della base imponibile (valore della produzione netta – Corte costituzionale n. 21/2005), non viola i principi di eguaglianza e di proporzionalità del prelievo rispetto alla capacità contributiva.
Per la Cassazione, infatti, si tratta di una scelta legislativa sorretta da ragionevoli motivi di politica economica e redistributiva, giustificata dalla necessità di osservare “le diverse regole che disciplinano la rappresentazione della situazione economico-patrimoniale e reddituale per ciascuna categoria di soggetto”. E tali motivi trovano giustificazione, da una parte, nella valutazione del minore impatto del nuovo tributo su tali settori e, dall’altra, nella scelta di politica redistributiva volta ad assicurare la continuità del prelievo, per il carattere surrogatorio del tributo, e a evitare possibili divergenze tra la precedente ripartizione del carico fiscale e quella che si sarebbe verificata se fosse stata adottata un’aliquota unica e indifferenziata per tutti i settori produttivi del comparto privato.


Fonte: Agenzia Entrate

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