Con sentenza del 5 settembre 2014, n. 18757, la Corte di cassazione – respingendo il ricorso di un imprenditore che aveva riportato in dichiarazione un debito Iva che, in realtà, doveva essere registrato in regime di sospensione d’imposta – ha stabilito che il contribuente non può emendare la dichiarazione Iva al punto di stravolgerla dalla “qualificazione iniziale”.

I fatti di causa
La vicenda riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento fondato sul presupposto che la dichiarazione annuale era stata emendata oltre i termini di legge, impugnazione rigettata dalla Commissione tributaria provinciale adita, che così legittimava la cartella di pagamento emessa in conseguenza dell’omesso versamento dell’Iva annuale.

Stesso esito in appello, ove il giudice del riesame, sul preliminare rilievo dell’alternativa offerta nella specie dall’articolo 6 del Dpr 633/1972 tra l’effettuare il versamento dell’imposta al momento di eseguire la prestazione o al momento di conseguirne il corrispettivo, ha motivato la conferma, osservando che l’avere inserito nella dichiarazione originariamente prodotta anche l’Iva non ancora incassata non può essere un errore, bensì il libero esercizio di una facoltà fissata dal legislatore, che pertanto non può essere revocata attraverso una dichiarazione integrativa.

Nel conseguente ricorso per cassazione, il contribuente sostiene, contrariamente all’assunto del giudice di appello, di non essersi avvalso di alcuna facoltà, ma “di essere semplicemente incorso nell'errore di aver riportato in dichiarazione un debito Iva che, in realtà, doveva essere registrato in sospensione di imposta”.

L’integrazione della dichiarazione
Preme in incipit rilevare che l’articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998, consente di presentare una successiva dichiarazione anche meramente rettificativa della precedente, facendo salvo il potere degli uffici di applicare le sanzioni amministrative.
Il comma 8-bis ammette, poi, che il contribuente possa integrare la dichiarazione dei redditi, dell’Irap e dei sostituti di imposta, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato un maggior reddito o, comunque, un maggior debito o un minor credito di imposta; tale disciplina è applicabile anche alle dichiarazioni relative all’Iva in forza della previsione dell’articolo 8, comma 6, del medesimo Dpr 322/1998 (“integrazione a favore del contribuente”) (cfr Cassazione, sentenza 18076/2008).

Al riguardo, le sezioni unite della Cassazione (sentenza 15063/2002) hanno chiarito che è emendabile e ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi che risulti, comunque, frutto di un errore del dichiarante nella relativa redazione, sia tale errore testuale o extratestuale, di fatto o di diritto, quando da essa possa derivare l’assoggettamento del dichiarante medesimo a oneri contributivi diversi, e più gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico. La possibilità, hanno aggiunto, di rettificare o ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazione dei redditi non può non essere fatta discendere dalla relativa natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio (così anche Cassazione, sentenze 1088/1999 e 2725/2011).

La decisione
Nel decidere la vertenza, la Corte di cassazione, confermando i giudicati di merito, rigetta il ricorso e afferma che la dichiarazione è illegittima nel caso in cui l’errore non sia semplicemente di calcolo, ma dipenda da una scelta del cittadino o dell’imprenditore.
Il ricorso viene respinto proprio perché il contribuente per sua scelta aveva revocato, con dichiarazione integrativa, l’opzione esercitata tra il regime di esigibilità immediata dell’imposta e quello di esigibilità differita, non trattandosi di un mero errore materiale quanto piuttosto di una scelta negoziale, per questo non più emendabile.

Il giudice di legittimità pone così dei limiti all’emendabilità delle dichiarazioni, argomentando che, se agli errori commessi è possibile rimediare, ben diversa è la situazione quando l’errore riguarda una “manifestazione di autonomia negoziale del soggetto”.
Infatti, l’affermazione di una generale e automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, si legge in motivazione, non può ritenersi estesa alla dichiarazione dei redditi tout court, ma deve correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad esempio, errori di calcolo o anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti l’esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo a tali ipotesi estranea la concreta fattispecie in esame in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, viene a esercitare una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria (Cassazione, sentenza 7294/2012).
Tale opzione integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell’“an” e nel “quando”, riconducibile a una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto, che è diretta a incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all’imposta (Cassazione, sentenze 9777/1993, 2732/1997, 9310/1997, 11102/1998).


Fonte: Agenzia Entrate

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