La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda una controversia sorta in merito ad una domanda presentata nell’ambito di un procedimento su istanza di un istituto di credito danese contro alcune decisioni con le quali si è stabilito il reintegro, nel calcolo della base imponibile, di perdite relative a precedenti esercizi e già dedotti nel computo dell’utile riferito a stabili organizzazioni oltre confine.

L’origine della controversia
La società ricorrente è una società con bandiera danese e che esercita un’attività bancaria in Paesi quali Finlandia, Svezia e Norvegia tramite stabili organizzazioni. Negli anni dal 1996 e il 2000 tali stabili organizzazioni hanno maturato delle perdite di  esercizio che sono state regolarmente dedotte dal  reddito imponibile nel paese della società madre. Proprio nel 2000 talune stabili organizzazioni sono state oggetto di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale che, agli occhi dell’Amministrazione finanziaria danese, è stata considerata come una cessione, anche parziale, della stessa stabile organizzazione. Ecco che allora il fisco danese, in applicazione della legislazione nazionale, ha proceduto a reintegrare nel reddito della società danese l’utile imponibile con le suddette perdite che venivano così riprese a tassazione. In virtù del principio della libertà di stabilimento, era proposto un reclamo, alla Commissione tributaria nazionale, contro tale reintegro. Il reclamo era poi successivamente impugnato dinanzi al giudice nazionale che, in considerazione della questione controversa, decideva di sospendere il procedimento, per risolvere il problema della compatibilità di una normativa nazionale siffatta e di fare appello a una pronuncia da parte dei giudici della Corte di giustizia europea.

La questione pregiudiziale
Il giudice del rinvio, con la questione portata all’attenzione dei togati europei, chiede sostanzialmente se, alla luce degli articoli 49 e 54 TFUE, nonché degli articoli 31 e 34 dell’Accordo SEE, sia da ritenersi conforme al diritto dell’Unione una legislazione nazionale che ricomprenda nel calcolo della base imponibile una perdita pregressa e già dedotta in precedenza e maturata in relazione alla cessione di una stabile organizzazione operante fuori dai confini nazionali.

Sulla questione pregiudiziale
Come prima considerazione i giudici europei hanno sottolineato, riportando quanto emerso nel corso di passati procedimenti, come in base a quanto statuito dalle disposizioni del diritto dell’Unione sulla libertà di stabilimento, un soggetto può esercitare liberamente un’attività economica, al di fuori dei propri confini nazionali, alle stesse condizioni previste per i residenti. Lo stesso discorso vale ovviamente anche se il soggetto non è una persona fisica ma è una  persona giuridica che, però, può operare oltre confine mediante società controllate, una succursale o anche con una agenzia. Ecco che allora le disposizioni del Trattato FUE sono volte a consentire il libero esercizio di un’attività economica nell’intero territorio dei Paesi membri, mettendo al bando, al contempo, qualsiasi forma o misura nazionale che ostacoli tale libertà. Nel caso di specie la normativa nazionale che preveda la possibilità, per una società residente, di poter computare nel calcolo della base imponibile le perdite che scaturiscono da una stabile organizzazione estera genera un vantaggio fiscale per detta società residente nei confronti delle società non residenti. Si crea di fatto, una forma di disparità di trattamento per la semplice ragione di appartenenza o meno ad uno Stato piuttosto che ad un altro, con diversi ordinamenti giuridici. L’assoggettamento degli utili delle stabili organizzazioni situate in Finlandia, Svezia e Norvegia all’imposta danese significa assimilare queste ultime alle stabili organizzazioni residenti per quanto riguarda la deduzione delle perdite di esercizio. Non sembrano sussistere, a difesa della normativa danese, né ragioni di tutela dell’interesse nazionale, la tutela di una ripartizione equilibrata dei poteri impositivi tra gli Stati membri in relazione alla prevenzione dell’elusione fiscale. Pur volendo ritenere l’intento di una maggior difesa contro comportamenti elusivi un motivo a favore della normativa nazionale controversa, occorre sottolineare come la stessa non sia debitamente commisurata allo scopo prefissato.

Il verdetto dei giudici europei
Secondo la Corte non è compatibile con il diritto dell’Unione, di cui agli articoli 49 e 54TFUE nonché agli articoli 31 e 34 dell’accordo sullo spazio economico europeo, una normativa nazionale, come quella di cui alla fattispecie principale, che stabilisce la ripresa a tassazione delle perdite in precedenza dedotte e maturate in relazione alla cessione di una stabile organizzazione situata all’estero. Ripresa a tassazione che opererebbe in un duplice modo, da una parte in quanto si tasserebbero gli utili realizzati e, dall’altro, gli utili derivanti dalla plusvalenza realizzata in occasione della cessione definitiva della stabile organizzazione stessa.


Fonte: Agenzia Entrate

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