Come noto, il regio decreto n. 2440/1923, all’articolo 69, comma 6, disciplina l’istituto del “fermo amministrativo”, il quale dispone, in via generale, che, “Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”.
Al riguardo, nel tempo, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che la funzione giuridica dell’istituto è da ricercare nell’esplicazione di un’attività di autotutela cautelare da parte della stessa pubblica amministrazione, espressiva di un potere autoritativo il cui esercizio determina l’affievolimento, sia pure temporaneo, del diritto di credito del privato fino all’eventuale estinzione – totale o parziale – del debito del soggetto pubblico, per compensazione, a seguito del riconoscimento del debito del soggetto privato (nella specie, del contribuente: v., in tal senso, le sentenze della Cassazione a sezioni unite nn. 1733 del 7 febbraio 2002, espressamente richiamata nella decisione in esame, e 875 del 17 gennaio 2007).

In relazione alla sopra citata disposizione, con la sentenza 7320/2014, la Corte ha, quindi, accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria nazionale, nei confronti di una società a responsabilità limitata, avente a oggetto la legittimità del diniego del rimborso di un credito Iva (non concesso dall’ufficio territorialmente competente) emergente dalla dichiarazione annuale presentata dalla stessa società per l’anno d’imposta 2003, ribadendo il principio secondo cui è legittimo sospendere il rimborso del tributo in questione nei casi in cui (come in quello di specie) l’ufficio abbia proposto eccezione di “fermo amministrativo” in ragione della notifica di un avviso di accertamento di un maggior debito dello stesso tributo che aveva annullato l’eccedenza detraibile chiesta a rimborso.

Nella decisione in commento, infatti, i giudici di legittimità – discostandosi da un proprio precedente difforme orientamento (sentenza n. 27265 del 20 dicembre 2006, ricordata nel testo), da un lato, e, dall’altro, facendo invece sostanzialmente proprie le conclusioni contenute nelle sentenze nn. 4567 del 5 marzo 2004 e 9853 del 5 maggio 2011, espressamente richiamata – hanno affermato che l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di sospendere l’esecuzione di un rimborso Iva in pendenza di proprie ragioni di credito.

Al riguardo, infatti, il Supremo collegio osserva, da un lato, che l’articolo 38-bis, comma 3, del Dpr n. 633 del 1972 non limita la sospensione dell’esecuzione del rimborso alla sola ipotesi di contestazioni penali, in capo al contribuente, relative allo stesso periodo d’imposta in cui il credito chiesto a rimborso è sorto, e, dall’altro, che le garanzie richieste dallo stesso articolo 38-bis (cauzione in titoli di Stato o fidejussioni bancarie) hanno una funzione – diversa da quella del fermo amministrativo – di tutela erariale della (eventuale) insussistenza del credito Iva da rimborsare, mentre la previsione del citato articolo 69 del regio decreto n. 2440 del 1923 garantisce la possibilità di operare la compensazione (del credito del contribuente) con i “controcrediti” vantati in via generale dalla Pubblica amministrazione nei suoi confronti, anche se non ancora liquidi ed esigibili.

La decisione in rassegna, infine, sempre agli effetti della legittimità della sospensione del pagamento di somme di denaro, esclude che la Pubblica amministrazione interessata debba dimostrare, oltre all’esistenza delle proprie ragioni di credito, anche quella del pericolo per la riscossione, interpretando in tal senso l’articolo 69 del regio decreto n. 2440, che si limita a riconoscere efficacia alla suddetta sospensione fino all’emanazione di un provvedimento definitivo, di natura giurisdizionale, che disponga in merito alla sussistenza, o meno, “...della concorrente ragione di credito vantata dall’erario” (v., nello stesso senso, le già citate sentenze nn. 4567 del 2004 e 9853 del 2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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