La Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza 937/03/14, del 15 luglio 2014, ha respinto il ricorso presentato dal legale rappresentante di una società fallita, dichiarandolo inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente.
L’impresa, infatti, impugnava l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva contestato (ex articolo 39, comma 1, Dpr 600/1973), per l'anno 2008, minori costi pari a 280 milioni di euro, di cui 90mila indeducibili in assenza della relativa prestazione e 190mila ai sensi dell’ex articolo 109 del Tuir, oltre a Iva indebitamente detratta per 38mila euro (articolo 19 del Dpr 633/1972).

Il ricorrente, prima del ricorso, aveva peraltro già presentato istanza di accertamento con adesione, non accolta però dall’ufficio, il quale, ritenendo il curatore fallimentare l’unico soggetto legittimato a presentare il ricorso, aveva chiarito all’istante che, ai sensi dell'articolo 42 della legge fallimentare, la sentenza di fallimento priva, dalla sua data, il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni.
Il curatore del resto, nel caso di specie, aveva consapevolmente deciso di non impugnare l’avviso per motivi di economicità della procedura concorsuale.

Il ricorrente, tuttavia, riteneva che il comportamento dell'ufficio fosse illegittimo, in quanto lesivo dei diritti del contribuente e della società, vista anche la mancanza del necessario contradditorio e chiedeva dunque al giudice di merito che fosse dichiarata la nullità dell'atto impugnato, contestando altresì, nel merito, la fondatezza dei rilievi.

L'ufficio, costituitosi in giudizio, chiedeva, quindi, che fosse dichiarata l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva del soggetto che lo aveva presentato.
Anche nel merito, poi, l’Agenzia delle Entrate contestava le eccezioni del ricorrente.
In particolare, quanto all’eccepita inammissibilità, l’ufficio evidenziava che soltanto in via del tutto eccezionale e nell'inerzia dell'organo che fisiologicamente avrebbe avuto il potere di farlo (il curatore fallimentare), al fallito era concessa la possibilità di contestare in giudizio un atto relativo a “rettifiche” tributarie.

Limite essenziale, conditio sine qua non, per l'esercizio del potere di azione da parte dell’ex rappresentante legale, era dunque costituita dalla effettiva sussistenza dell'inerzia del curatore.
Più nello specifico, ove tale condotta sia derivata non da una mera omissione di atti, ma da una precisa scelta discrezionale di non porre in essere attività processuali, ad esempio, perché in un'ottica di analisi di costi/benefici sia stato ritenuto di non voler provvedere a contestare in giudizio un determinato atto, anche in questo caso nessuna legittimazione “ultrattiva” può essere concessa al fallito, non sussistendo, come dice anche la Corte suprema, “… alcuna inerzia, ma solo l'adesione ad una scelta di convenienza in ordine alla prevedibile mancanza di risultati utili della contestazione della pretesa tributaria” (Cassazione civile, sentenza 3667/1997).

Nel caso di specie, del resto, era lo stesso ricorrente a ricordare che il curatore fallimentare per motivi di economicità della procedura fallimentare, aveva deciso di non ricorrere contro l’Agenzia delle Entrate.
Risultava dunque evidente, vista la precisa e ragionata scelta di convenienza della curatela, come nella vicenda in esame non sussistesse alcuna legittimazione del fallito.

L’articolo 43 del regio decreto 267/1942 è del resto chiaro nello stabilire che “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio ilcuratore”, laddove la Corte costituzionale ha in più occasioni già rigettato la questione di costituzionalità dell'articolo 43, nella parte in cui appunto non prevede per il fallito un suo diritto a un'autonoma impugnazione (Corte costituzionale, sentenze 953/1988 e 676/1988).

La proposizione del ricorso da parte del fallito è dunque sempre “condizionata all'eventualità dell'inerzia della curatela” (Cassazione, sentenza 7561/1995), laddove è però evidentemente escluso che possa ravvisarsi inerzia del curatore, ove questi abbia prestato acquiescenza all’avviso (o alla decisione del giudice sullo stesso avviso), dato che tale condotta non è certo assimilabile a inerzia, ma rappresenta “un modo di gestione del processo ed una scelta interna alla logica di questo” (Cassazione, sentenza7308/1996).

Nello stesso senso si esprimeva inoltre la sentenza 11572/2007 della Corte suprema, che espressamente afferma che “La rinuncia ad impugnare costituisce, in difetto di contrari elementi di giudizio, una forma di esercizio del potere processuale, e non una manifestazione di disinteresse nei confronti della difesa giudiziale. Perciò, tale rinuncia non è idonea a determinare la legittimazione del fallito a gestire il rapporto tributario di cui la curatela fallimentare si sia disinteressata” (cfr Cassazione, sentenza 6746/2007).

Ancora, secondo quanto stabilito dallo stesso Collegio, sezione III, con la sentenza 9710/2004, la legittimazione processuale di un soggetto dichiarato fallito, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, può eccezionalmente riconoscersi soltanto nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento e non anche quando detti organi abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia; in questi casi, la conseguente inammissibilità dell'impugnazione può essere eccepita dalla controparte o rilevata d'ufficio.

Anche nel merito, del resto, le contestazioni dell’ufficio erano palesemente legittime e fondate, motivo per cui, probabilmente, il curatore aveva valutato di non impugnare l’avviso.
Il giudice di primo grado, dunque, ritenendo giustificata l'eccezione di inammissibilità dell’Agenzia in relazione all'articolo 43 della legge fallimentare, ha respinto il ricorso del contribuente.


Fonte: Agenzia Entrate

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