In tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, la regolarità delle scritture contabili non rappresenta un ostacolo all'applicazione del metodo analitico-induttivo o "misto" (articolo 54, commi 2 e 3, Dpr 633/1972) per procedere alla rettifica (in aumento) dell'imponibile esposto nella dichiarazione, anche ai fini Iva, a seguito dell'emergere di singoli elementi - attivi o passivi - dei quali risulta provata aliunde l'inesattezza o la mancanza.
Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza n. 11477 del 23 maggio 2014.

I fatti
Con processo verbale di constatazione (pvc), la Guardia di finanza ha contestato a una società a responsabilità limitata l'indebita detrazione Iva assolta su acquisti non documentati o non inerenti per 313,50 euro, nonché l'omessa certificazione, registrazione e dichiarazione di proventi derivanti da cessione di beni.
Il contenuto del pvc veniva trasfuso nell'avviso di accertamento per il 1998, con il quale l'Agenzia recuperava una maggiore Iva per oltre 120mila euro.

L'avviso è stato impugnato dalla società, lamentando l'illegittimità del metodo di accertamento (differenziale di valore delle merci, piuttosto che fisica rilevazione delle stesse), l'inutilizzabilità della presunzione di cessione ex articolo 53, Dpr 633/1972, e il ricorso a presunzioni prive dei requisiti di certezza, gravità e concordanza.
Vittoria parziale in primo grado: sono state accolte le censure relative all'erronea applicazione della prova presuntiva e confermata solo l'indebita detrazione di 313,50 euro per acquisti non inerenti. Ribaltata in appello a favore dell'ufficio.

La società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l'altro, violazione e falsa applicazione degli articoli 54, Dpr 633/1972, e 2729 del codice civile, in quanto a fronte di una contabilità ineccepibile, corretta e regolare, non poteva ritenersi legittima la rettifica della dichiarazione Iva fondata esclusivamente su meri elementi indiziari e sull'utilizzo di percentuali di ricarico erroneamente e genericamente determinate, oggetto di specifica e puntuale contestazione da parte della stessa contribuente.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha ribadito i principi di legittimità elaborati in tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, e cioè che: "l'asserita ineccepibilità delle scritture contabili non rappresenta un ostacolo all'applicazione del metodo analitico-induttivo…" e che "la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta … prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell'imprenditore risulti formalmente regolare".

Osservazioni
La Corte ha giudicato infondate le contestazioni della società relative all'erroneità dell'applicazione di "percentuali medie di ricarico" e di "valori percentuali medi del settore" (tra l'altro non indicati nella sentenza d'appello).
I Giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato che la sentenza sottoposta al loro esame faceva invece riferimento alla "media aritmetica ponderata (e non semplice) sul costo del venduto" e a una percentuale di ricarico "calcolata secondo il metodo statistico riconosciuto logico e attendibile dalla giurisprudenza", rilevata "in contraddittorio con la parte contribuente, tenendo conto delle indicazioni fornite dallo stesso amministratore unico, per ogni merce raggruppata in gruppi omogenei per categorie merceologiche, e dell'incidenza percentuale di ciascuna categoria".

Tali principi danno seguito all'orientamento di legittimità consolidato (cfr Cassazione 13027/2012 e 27912/2013), secondo il quale, a prescindere dalla esistenza di una contabilità regolare:
l'atto di rettifica, se sufficientemente motivato, è assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori. E cioè, se sono specificati gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e se è dimostrata la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, l'ufficio è tenuto solo a tirare le conclusioni di quanto emerge dal procedimento deduttivo, mentre grava sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate. Ciò in quanto, sia ai fini Iva (articolo 54, Dpr 633/1972) sia ai fini delle imposte sui redditi (articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973), la contabilità, apparentemente regolare, può essere considerata complessivamente inattendibile se confligge con gli ordinari criteri di ragionevolezza (cfr Cassazione 27912/2013), anche sotto il profilo di antieconomicità del comportamento del contribuente (cfr Cassazione 7144 e 11599 del 2007, 951/2009 e 1647/2010)
la percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta deve essere determinata in via presuntiva seguendo un criterio che, a prescindere dalla regolarità formale della contabilità, sia:
coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame
applicato a un campione di beni scelti in modo appropriato
fondato su una media aritmetica o ponderata, scelta in base alla composizione del campione di beni (cfr Cassazione 3197/2013)
la scelta di un tipo di media piuttosto che di un altro, non costituendo oggetto di specifica previsione legislativa, non integra una violazione di norme di diritto (cfr Cassazione 14576/2001, 26312/2009 e 17952/2013). Di conseguenza, l'ufficio può ben scegliere se adottare, ai fini del calcolo della percentuale di ricarico applicata sui generi venduti, la "media aritmetica semplice" (comparazione tra prezzi di acquisito e di vendita di alcuni generi merceologici) ovvero la "media aritmetica ponderata" (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dall'impresa)
tale scelta è legittima nella misura in cui risponde a canoni di coerenza logica e congruità, esplicitati dall'ufficio attraverso adeguato ragionamento e verificati dal giudice adito
il controllo di logicità sulla scelta e applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e quelli di acquisto. Ciò in quanto il campione non può essere limitato in modo arbitrario solo ad alcuni articoli ma, tenendo conto degli elementi conoscitivi acquisiti dall'ufficio nel corso dell'indagine, deve riferirsi a tutte le merci commercializzate dall'impresa risultanti dall'inventario generale (cfr Cassazione 979/2003, 6849 e 6852 del 2009) o comunque a un "gruppo significativo, per qualità e quantità, dei beni", anche se non necessariamente alla totalità degli stessi beni (cfr Cassazione 6086/2009 e 17952/2013).
Questi sono tutti gli elementi esaminati dal giudice di secondo grado e rispetto ai quali non è consentito a quello di legittimità un'ulteriore valutazione fattuale.


Fonte. Agenzia Entrate

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