Attenzione, per considerare una fattura elettronica occorre che il documento venga emesso e accettato in formato digitale.
È la prima precisazione che fa l’Agenzia delle Entrate con la circolare 18/E del 24 giugno.
Il sistema, infatti, cha mette da parte la tradizionale forma cartacea, soprattutto dopo le modifiche apportate dalla normativa europea, può presentare ancora qualche incertezza applicativa.
Il documento di prassi è suddiviso in due parti: nella prima, l’Amministrazione fornisce indicazioni generali, spiega in che modo e da chi deve essere creata e conservata la fattura digitale e quali sono le caratteristiche da cui non si può prescindere; nella seconda, invece, sono affrontate tematiche più specifiche, che rispondono a questioni sollevate dai contribuenti.

Prima di entrare nel vivo del tema, vale la pena di ricordare che sulla materia è intervenuta la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012, articolo 1, commi da 325 a 328) ritoccando, in maniera significativa, gli articoli 21 e 39 del Dpr 633/1972 (“decreto Iva”). L’input è arrivato dalla direttiva 2010/45/Ue, modificativa della precedente 2006/112/Ce del 28 novembre 2006.
Sostando ancora un po’ sul “trascorso”, utile, inoltre, il richiamo alla circolare 12/E dello scorso anno, con la quale l’Agenzia ha illustrato la nuova normativa.

In scena la fattura elettronica. Irrilevante il formato originario
La circolare 18/E mette subito in chiaro i requisiti che una fattura deve avere per essere definita elettronica, precisazione che discende dalla richiamata direttiva europea.
Per semplificare al massimo, diciamo che una fattura, per guadagnare a pieno titolo l’etichetta di “elettronica” deve essere trasmessa (o messa a disposizione), ricevuta e accettata in formato digitale. Il percorso “ufficiale”, quindi, deve essere informatico a 360 gradi.
Non è sufficiente, cioè, che l’emittente trasmetta o metta a disposizione del destinatario la forma smaterializzata, ma è anche necessario che questa risulti gradita a chi la riceve.
Di conseguenza, per fare degli esempi concreti, non è elettronica la fattura creata tramite software di contabilità o di elaborazione testi arrivata però cartacea a destinazione, mentre lo è quella compilata sul blocchetto in un primo momento e poi spedita e ricevuta tramite canali elettronici, ad esempio, via e-mail. A mettere il sigillo sulla validità dell’operazione non occorre un accordo formale tra le parti, ma assume rilievo il comportamento concludente del cessionario o committente.
E se quest’ultimi preferiscono continuare con il metodo tradizionale (analogico), ciò non influenza l’obbligo dell’emittente di procedere comunque con la conservazione elettronica, sempreché vengano rispettati i requisiti di autenticità dell’origine, integrità del contenuto e leggibilità (identificati per comodità nella circolare con le lettere A, I ed L) dal momento della creazione fino al termine del periodo di conservazione. Ciò significa che, quando l’emittente trasmette o mette a disposizione del ricevente una fattura elettronica, anche se quest’ultimo non accetta tale processo, la fattura rimane elettronica in capo al primo, con conseguente obbligo di conservazione elettronica.

Autenticità, integrità e leggibilità, in una parola sola, Ail
L’attuale articolo 21 del Dpr 633/1972 assegna al soggetto passivo il compito di vigilare sul rispetto dei requisiti fondamentali della fattura elettronica ovvero:
l’autenticità dell’origine, che assicura l’identità del fornitore/prestatore o dell’emittente della fattura. A tal proposito, le Note esplicative della direttiva 2010/45/Ue prevedono che anche il soggetto passivo cessionario/committente garantisca, eventualmente con altre modalità, tale requisito
l’integrità del contenuto, ossia la certezza che i dati inseriti non abbiano subito alterazioni. Anche in questo caso, le Note della direttiva europea, richiamano come responsabili del controllo sia l’emittente sia il destinatario della fattura, che possono decidere di adempiere l’obbligo congiuntamente o in autonomia, scegliendo anche procedure diverse di verifica. A condizione che sia garantita l’invariabilità del contenuto obbligatorio della fattura, precisa la circolare, il relativo formato può essere convertito in altri formati (ad esempio, da MS word a XML)
la leggibilità, attraverso la quale si assicura che il documento elettronico possa essere prontamente disponibile e “leggibile per l’uomo” (ovvero possa essere visibile su schermo o tramite stampa in caso di controllo) per tutto il periodo della sua conservazione e che sia possibile verificare la corrispondenza delle informazioni in esso contenute rispetto ai dati inseriti nel file originario. A garantire tale requisito non basta la firma elettronica o la trasmissione telematica anche se sta al contribuente scegliere la procedura più idonea. Il chiarimento è desunto dalle Note della richiamata direttiva europea, visto che l’articolo 21 di cui si sta parlando, non entra nel dettaglio dell’argomento.
Per il controllo A e I, scelta tecnologica al contribuente
A differenza della vecchia norma che dava indicazioni precise sui sistemi di controllo adottabili, il nuovo articolo 21 lascia liberi di scegliere con quali modalità garantire il rispetto dei requisiti di autenticità dell’origine e integrità del contenuto.
Oltre alla firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente e ai sistemi di trasmissione Edi (Eletronic data interchange), spazio, perciò, ad altre tecnologie non specificate, ritenute idonee dal contribuente.
Quindi, per fare un quadro completo delle procedure possibili, sono adottabili:
sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile tra la fattura e la cessione di beni o la prestazione di servizi a essa riferibile
la firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente
le procedure Edi
altre tecnologie ritenute adeguate dal soggetto passivo.
Come orientarsi tra i sistemi di controllo di gestione
Se la scelta per assicurare i due requisiti sopra descritti ricade su un sistema di controllo di gestione, bisogna cercare tra quelli che garantiscono di verificare il percorso della fattura attraverso l’intera storia dell’operazione assicurando che, lungo la strada, il contenuto del documento non sia stato alterato. Nella procedura devono essere inseriti, in pratica, tutti i documenti, i movimenti, le modifiche, che intercorrono dall’inizio della transazione fino all’atto finale, così da stabilire un collegamento logico tra i dati inseriti e risalire con certezza ai rapporti instaurati nel corso del cammino.
La direttiva 2010/45/Ue, in questo senso, indirizza verso il reliable audit trail, una procedura che è in grado di tracciare una sequenza cronologica di informazioni non modificabili, circa le fatture e le transazioni che rappresentano, in modo che non ci siano dubbi sull’autenticità dell’origine e la loro integrità.
Insomma, attraverso i dati inseriti, è necessario poter risalire anche a una fonte indipendente per verificare che la merce effettivamente consegnata sia quella ordinata e pagata e che la fattura rispetti i requisiti di autenticità e integrità.

Firma elettronica, qualificata o digitale
Un’altra strada percorribile, idonea a garantire l’autenticità e l’integrità del documento smaterializzato, è la firma elettronica qualificata o digitale, da apporre secondo le regole tecniche previste dal Dpcm 22 febbraio 2013.
Di norma, la fattura è emessa e firmata dal fornitore, ma quest’ultimo può incaricare dell’adempimento anche il cliente o un terzo che, a questo punto, diventano gli “emittenti” e i “garanti” del documento e, quindi, lo firmano.
Lo stesso vale anche nell’eventualità in cui, in base a precedenti accordi, il committente/cessionario (o altro soggetto) provveda ad aggregare i dati trasmessi o resi disponibili dal prestatore/fornitore e, quindi, a generare la fattura che poi spedirà o metterà a disposizione del suo fornitore.
Una nota al documento specificherà che è stato emesso dal cliente/terzo o per conto del cedente o prestatore.

Anche Edi assicura autenticità e integrità
I contribuenti, infine, possono, utilizzare anche il sistema Edi (Electronic Data Interchange). Si tratta di una modalità che prevede uno scambio dati “standardizzato” e “preconfezionato”, tra fornitore e cliente, attraverso reti di telecomunicazioni nazionali e internazionali.
In genere, le procedure generano però formati diversi per le due tipologie di contribuenti ed è per questo che occorre trasformare i file in modo che possano comunicare tra loro. In genere, le due parti concordano quali versioni adottare e incaricano un service provider della conversione.
Affinché la procedura sia ritenuta affidabile, occorre garantire che il processo di trasformazione non alteri il significato intrinseco della fattura e che il documento sia al riparo da attacchi “informatici” esterni, attraverso adeguati sistemi di sicurezza sia nella fase di trasmissione dei dati sia in quella di conversione.
Al riguardo, la circolare precisa che, durante quest’ultimo passaggio, fornitore e cliente dovranno conservare la fattura nel formato standard scambiato, assicurandone, entrambi, la reperibilità e la leggibilità nel tempo.

In rete o per e-mail, anche senza accordo
La fattura elettronica si considera emessa dal momento in cui è resa a disposizione del destinatario, attraverso un sito internet, un server o un altro supporto informatico, oppure tramite una e-mail contenente un protocollo di comunicazione e un link che permetta di scaricare, in qualsiasi momento, il documento.
In particolare, la circolare pone l’attenzione sull’ultima modalità citata, che oggi non necessita più, come avveniva con la precedente disciplina, di un accordo preventivo tra le parti: è sufficiente l’accettazione del destinatario a promuovere la trasmissione per posta elettronica.
Richiesta ancora un’intesa preventiva, invece, se la trasmissione è affidata a un terzo (outsource).
Strade aperte, inoltre, ad altri strumenti di invio, a patto che consentano il rispetto delle regole.
Confermata la possibilità di inviare con un’unica spedizione elettronica, allo stesso destinatario, più fatture raccolte in un unico lotto. In tal caso, requisiti e metodi previsti per il singolo documento devono essere applicati al pacchetto. Ribadito, inoltre, che basta inserire una sola volta le informazioni comuni, se reperibili sul singolo documento le generalità delle informazioni.

Emittente e destinatario, conservazione senza simmetria
Fino a questo punto, le modifiche normative esaminate hanno riguardato l’articolo 21 del decreto Iva. L’ultimo chiarimento della prima parte della circolare si riferisce, invece, all’articolo 39 del Dpr 633/1972, riformato anch’esso a seguito della direttiva europea 2010/45/Ue. In questo caso, il tema è la conservazione della fattura elettronica.
A proposito del metodo di archiviazione, la norma ora in vigore rimuove i vincoli di conservazione che prima tenevano agganciati i protagonisti dell’operazione e lascia ai singoli autonoma libertà di scelta.
In pratica, fornitore e cliente possono scegliere la smaterializzazione del documento o la tenuta cartacea, senza che questo incida sul comportamento dell’altro. Al destinatario che preferisce la procedura tradizionale, non resta che materializzare il documento elettronico e conservarlo nel modo che gli è più convenzionale, mentre chi lo ha emesso continua con il processo informatico anche se l’altro non l’ha accettato.

L’archivio può essere localizzato anche in un altro Stato, a patto che ci siano accordi di assistenza reciproca tra l’Italia e l’altro Paese, che i documenti rispettino i requisiti previsti dalla disciplina nazionale e che siano sempre accessibili in caso di controllo.
Si ricorda, infine, che è obbligatoria la conservazione digitale delle fatture elettroniche emesse nei confronti della Pubblica amministrazione.

E ora la parola ai contribuenti
Siamo arrivati alla seconda parte della circolare, con la quale l’Agenzia risponde ai quesiti dei contribuenti.
Eccoci al primo. Il nuovo articolo 21 del Dpr 633/1972 estende alle prestazioni di servizi la possibilità di emettere fattura differita, entro il 15 del mese successivo a quello in cui si è effettuata la prestazione, prerogativa prima riservata soltanto alle cessioni di beni. A tal proposito, il dubbio riguarda l’“idonea documentazione” richiesta per usufruire del rinvio.
La normativa, in merito, non individua nessuna prova specifica ai fini fiscali e l’Amministrazione finanziaria ritiene, quindi, adatto allo scopo qualsiasi documento di tipo commerciale prodotto e conservato, relativo all’attività svolta, in grado di dimostrare, inequivocabilmente, l’effettuazione del servizio, la data e l’identità delle parti contraenti. Per andare nel concreto, possono essere considerati idonei, l’attestazione dell’incasso, la nota di consegna lavori, la lettera d’incarico.
Sì alla fattura differita, inoltre, anche se nel mese è stata realizzata una sola operazione con il medesimo cliente e via libera a un unico documento riepilogativo per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni realizzate nel periodo di riferimento nei confronti dello stesso soggetto.

I successivi chiarimenti rispondono a quesiti riguardanti una new entry, la fattura semplificata.
Al “decreto Iva” è stato aggiunto l’articolo 21-bis, che introduce una fattura più “snella” per gli importi complessivi non superiori a cento euro. Si tratta di un documento meno dettagliato nel quale vanno indicate le informazioni elencate nella norma (dalla lettera a alla lettera h). Tra queste, alla lettera e) viene posta l’alternativa, a proposito del cessionario/committente, tra l’inserimento dei dati tradizionali (ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del rappresentante fiscale e ubicazione della stabile organizzazione per i non residenti) e il codice fiscale o la partita Iva dell’interessato (o, in caso di soggetto stabilito in altro Paese Ue, l’identificativo Iva attribuito da tale Stato): in entrambe le ipotesi, precisa l’Agenzia, il documento è corretto e dà diritto alla detrazione dell’imposta addebitata in rivalsa dal cedente/prestatore.

Una risposta tira l’altra e, sulla base della precedente interpretazione, nel caso in cui il cessionario/committente sia identificato con il solo numero di partita Iva o con il codice fiscale, anche per la relativa registrazione della fattura semplificata da parte dell’emittente, è sufficiente l’indicazione di tali dati.

Rimaniamo sull’argomento. Con il terzo chiarimento le Entrate specificano che per la fattura di rettifica semplificata non vige il limite dei cento euro stabilito per quella originaria (semplificata). E il documento integrativo light non fa distinzioni tra variazioni in aumento e diminuzione, potendo essere adottato in entrambi i casi, né fa differenza il formato della prima fattura emessa, che può essere ordinario oppure no.
L’importante è che vengano indicati i dati necessari per collegare i due documenti e le informazioni modificate.

Ok, infine, alla “semplificata” che sostituisce la fattura-ricevuta fiscale. Quest’ultima è emessa dagli operatori obbligati all’emissione della fattura soltanto su richiesta del cliente. Di aspetto simile alla ricevuta, assolve le stesse funzioni della fattura ordinaria. Di conseguenza, considerato che è stato soppresso l’obbligo di scontrino, ricevuta fiscale o fattura-ricevuta in caso di fattura ordinaria, per nesso logico, la fattura semplificata può sostituire anche la fattura-ricevuta fiscale.


Fonte. Agenzia Entrate

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