Con la sentenza n. 1845 del 29 gennaio 2014, la Corte di cassazione è tornata a occuparsi della problematica, in materia di Iva, emergente nel caso in cui il contribuente, pur vantando un credito d'imposta, abbia provveduto alla dichiarazione annuale (nel pregresso regime) dopo trenta giorni dal termine per la presentazione (dichiarazione comunque ritenuta omessa).
La soluzione nel prosieguo.

Il fatto
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso di una cooperativa agricola avverso un avviso di rettifica con il quale era stato recuperato a tassazione il credito esposto in dichiarazione annuale dalla società, conseguente al credito riportato dal periodo precedente, nonostante la dichiarazione dell'anno prima dovesse considerarsi "omessa a tutti gli effetti", in quanto tardiva oltre i trenta giorni, come allora prevedeva l'ultimo comma dell'articolo 37 del Dpr 633/1972.

La Commissione tributaria regionale ha invece accolto l'appello dell'ufficio, considerato che la norma in questione, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, precludeva il riconoscimento del diritto alla detrazione di imposta, ex articolo 19, Dpr 633/1972, in caso di omessa dichiarazione.

Con la conseguente opposizione in Cassazione, la contribuente contestava la perdita definitiva del credito vantato per violazione dell'articolo 37, ultimo comma, Dpr 633/1972, nel testo sostituito dall'articolo 1 del Dpr 24/1979, in quanto la norma che equipara la dichiarazione presentata con un ritardo superiore ai trenta giorni all'omessa dichiarazione non può produrre effetti preclusivi pregiudizievoli al riconoscimento del credito qualora questo non sia maturato nello stesso anno d'imposta relativo alla dichiarazione omessa, ma sia stato generato e riportato negli anni precedenti. Una diversa interpretazione determinerebbe il pregiudizio.

La decisione
Nella decisione della vertenza, con la sentenza n. 1845/2014, la suprema Corte respinge il ricorso della contribuente, affermando che la tardiva presentazione della dichiarazione Iva equivale a un'omissione a tutti gli effetti.
Il contribuente perde così la possibilità di detrarre il tributo riportato nella dichiarazione, ma conserva la possibilità di richiedere la restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto all'imposta dovuta.

Pur con le preclusioni derivanti dalla non autosufficienza del ricorso, non avendo la società specificato il tempo di formazione del credito e la sua eventuale esposizione nelle dichiarazioni annuali precedenti, la suprema Corte delimita innanzitutto il thema decidendum, chiarendo che le ragioni poste a fondamento della pretesa impositiva riguardavano esclusivamente il diniego del diritto a portare in detrazione il credito Iva esposto nella dichiarazione relativa all'anno rettificato, ma non anche il disconoscimento del diritto al rimborso del credito, ossia la restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto all'imposta effettivamente dovuta (cfr Cassazione 268/2012, 13090/2012 e 7644/2013).
Ciò in quanto il diritto al rimborso dell'eccedenza non è rimborso da indebito, ma restituzione soggetta a diverse formalità e a limiti temporali, di modo che esso deve essere considerato, anche in base al principio contenuto nell'articolo 18, paragrafo 4, della sesta direttiva Iva 77/388/Cee, una semplice modalità di soddisfacimento del credito d'imposta (cfr Cassazione 16257/2007), non residuale, ma di rango paritario a quello della detrazione.

Infatti, vige in materia il principio secondo cui, in tema di Iva versata in eccesso, poiché detrazione e rimborso d'imposta sono manifestazioni alternative del medesimo diritto, ex articolo 30, comma 2, Dpr 633/1972, ancorché non subordinate ai medesimi presupposti, al contribuente che, entro il termine di decadenza, abbia esercitato il diritto alla restituzione con richiesta di detrazione contrastata dall'Amministrazione finanziaria per inosservanza dell'obbligo di presentare la dichiarazione annuale, non può, in caso di esito negativo del giudizio sulla detrazione, ritenersi precluso il rimborso, se richiesto entro il termine di prescrizione (cfr Cassazione 21947/2007 e 20040/2011).

Sicché, la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato, con riguardo alla normativa subentrata all'articolo 37 del Dpr 633/1972, che il combinato disposto dell'articolo 8 del Dpr 322/1998 e dell'articolo 19 del Dpr 633/1972 fissa il limite temporale entro i quale il contribuente deve esercitare la facoltà di detrazione del credito d'imposta, cioè "al più tardi" con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto (cfr Cassazione 20040/2011).

Peraltro, nel caso di specie, il diritto al credito, anche se maturato negli anni precedenti, non avrebbe potuto essere portato a nuovo - per saltum - nell'anno accertato, proprio perché il sistema normativo delineato dall'articolo 30, comma 2, del Dpr 633/1972, è fondato sul principio di continuità dei dati contabili esposti nelle dichiarazioni fiscali regolarmente presentate con riferimento ai periodi di imposta in successione cronologica (cfr Cassazione 8716/2013).


Fonte: Agenzia Entrate

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