Censurata la normativa fiscale ungherese che discrimina un gruppo collegato a una società con sede all'estero rispetto a società nazionali che operavano in franchising. Secondo la normativa nazionale, tali compagini costituiscono “imprese collegate”, dunque la controllata era debitrice della frazione, in ragione del pro-rata del proprio fatturato, dell’imposta straordinaria complessivamente dovuta dalle imprese appartenenti al gruppo medesimo, in virtù dell'intero fatturato realizzato in Ungheria.

Gli attori coinvolti nella controversia
Al centro della controversia vi era la vicenda di una società, controllata da un'altra, non residente, che gestiva in Ungheria negozi di articoli sportivi. Per effetto dell’applicazione dell’imposta straordinaria, la società in questione veniva assoggettata ad un’aliquota media nettamente superiore a quella che avrebbe dovuto corrispondere sulla base del solo fatturato realizzato nei propri negozi, come succedeva per le catene di negozi ungheresi sue concorrenti. Queste ultime, infatti, erano strutturate, per lo più, in punti di vendita in franchising, dotati di personalità giuridica e non appartenenti ad un gruppo.
Atteso che l’Amministrazione finanziaria aveva respinto il suo reclamo volto ad ottenere lo sgravio dall’imposta straordinaria per l’esercizio 2010, la società adiva il tribunale locale, quale giudice amministrativo, affinchè dichiarasse le disposizioni della legge relativa all’imposta straordinaria contrarie al diritto dell’Unione.

La questione pregiudiziale
Il tribunale adito, tuttavia, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: se sia compatibile con le disposizioni dei Trattati che disciplinano il principio del divieto generale di discriminazione, il principio di libertà di stabilimento, il principio di parità di trattamento, il principio di parità per quanto riguarda le partecipazioni finanziarie al capitale delle società, il principio della libera prestazione dei servizi, il principio della libera circolazione dei capitali e il principio di parità per quanto riguarda l’imposizione di tributi alle imprese, il fatto che i contribuenti che esercitano l’attività di commercio al dettaglio debbano versare un’imposta straordinaria se il loro volume d’affari netto annuale è superiore a 500 milioni di fiorini ungheresi.

Le motivazioni della sentenza
I togati comunitari osservano che la normativa oggetto del procedimento principale stabilisce un criterio di distinzione tra i soggetti passivi dell’imposta straordinaria collegati, ai sensi della vigente normativa nazionale, ad altre società nell’ambito di un gruppo e i soggetti passivi non appartenenti ad un gruppo di società.
Tale criterio distintivo non determina alcuna discriminazione diretta, ma comunque, indirettamente, produce l’effetto di svantaggiare i primi rispetto ai secondi.
Ciò perchè, da una parte, l’aliquota di detta imposta è fortemente progressiva in funzione del fatturato; dall’altra, perchè tali aliquote si applicano ad una base imponibile che comprende, per i soggetti passivi appartenenti ad un gruppo di società, il fatturato consolidato di tutti i soggetti “collegati” del gruppo, laddove, per le persone giuridiche quali le imprese autonome operanti in franchising, tali aliquote si applicano al solo fatturato del soggetto passivo isolatamente considerato.
Un meccanismo di tassazione così concepito rischia di operare, evidenzia la Corte di giustizia, a detrimento dei contribuenti “collegati” a società con sede in un altro Stato membro.
In sostanza, una normativa come quella oggetto del procedimento principale, benché non operi distinzioni formali a seconda della sede delle società, introduce una discriminazione indiretta basata sulla sede della società ai sensi degli articoli 49 e 54 TFUE, che il governo ungherese, in seno al procedimento, non è stato in grado di giustificare.

Conclusioni
Gli articoli 9 e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro relativa a un’imposta sul fatturato del commercio al dettaglio che obbliga i contribuenti che costituiscono, nell’ambito di un gruppo di società, “imprese collegate”, ai sensi della normativa medesima, a sommare i rispettivi fatturati ai fini dell’applicazione di un’aliquota fortemente progressiva per poi successivamente ripartire tra di loro l’importo dell’imposta così calcolata in ragione del prorata del rispettivo fatturato reale, quando – ciò che spetta al giudice del rinvio verificare – i contribuenti appartenenti a un gruppo di società e ricompresi nello scaglione più elevato dell’imposta straordinaria sono “collegati”, nella maggior parte dei casi, a società con sede in un altro Stato membro.


Fonte: Agenzia Entrate

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