La pubblicità per affissione diretta effettuata nel 1996 da società su impianti di proprietà e per conto terzi è soggetta a imposta riferita all’intero anno solare e non alla durata del messaggio pubblicitario, come previsto dalle disposizioni di legge in vigore a far data dall’1 gennaio 2001 (articolo 145, comma 56, 388/2000). Disposizioni prive di efficacia retroattiva e non idonee a determinare l’obiettiva incertezza richiesta per l’inapplicabilità delle sanzioni.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di cassazione n. 27367 del 6 dicembre.

I fatti
La controversia concerne gli avvisi di accertamento con i quali il Comune di Roma procedeva nei confronti di una società a responsabilità limitata al recupero coattivo dell’imposta di pubblicità per l’anno 1996.
L’ente riteneva che, per le forme di pubblicità effettuate mediante affissione diretta, il pagamento dell’imposta doveva avvenire su base annua e non in relazione all’effettiva durata del messaggio pubblicitario. Ciò in quanto oggetto dell’imposta era il mezzo pubblicitario nella sua potenzialità e non nel suo effettivo utilizzo.
Diversamente, la società sosteneva di aver effettuato regolarmente i pagamenti dell’imposta di pubblicità, commisurando i versamenti ai periodi di effettiva utilizzazione delle strutture avute a disposizione, ossia pagando un decimo della tariffa per ciascun mese con riferimento agli impianti utilizzati per periodi inferiori a tre mesi.

In entrambi i gradi di merito, le Commissioni tributarie hanno respinto il ricorso e l’appello della contribuente che lamentava, tra l’altro, la commisurazione dell’imposta al periodo annuale nonostante l’esposizione del messaggio avesse avuto una durata non superiore ai tre mesi e la disapplicazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992, per incertezza interpretativa della norma tributaria.

Anche in Cassazione la società è risultata parte soccombente.
La Corte, infatti, rigettando il ricorso, ha affermato che “In tema di imposta comunale sulla pubblicità e con riferimento al caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, la modifica … disposta dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, che ha introdotto, a far data dall’1 gennaio 2001, la possibilità di determinare l'imposta anche nella misura e con le modalità di cui al comma 2 del citato art. 12, ha portata innovativa … per cui, in relazione alle fattispecie impositive di data anteriore, non è consentito tener conto delle singole esposizioni nel corso dell’anno solare, al fine di applicare la tariffa commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario, ma deve applicarsi il precedente sistema di calcolo del tributo, riferito all’anno solare”.

Osservazioni
Due i principi rilevanti contenuti nella sentenza: il primo, relativo all’applicazione non retroattiva delle modifiche legislative introdotte nel 2000 per il sistema di calcolo dell’imposta di pubblicità; il secondo, concernente la mancanza di documentazione e allegazione da parte della società al fine di dimostrare le condizioni di obiettiva incertezza idonee a giustificare l’inapplicabilità delle sanzioni tributarie.

A norma dell’articolo 12, comma 3, del Dlgs 507/1993, nel testo vigente nel 1996, l’imposta dovuta per la pubblicità effettuata mediante affissioni dirette di manifesti e simili su apposite strutture va calcolata “nella misura e con le modalità previste dal comma 1”, che reca le tariffe differenziate per metro quadro di superficie occupata e per diverse classi di comuni, senza alcun riferimento a periodi inferiori all’anno. Di conseguenza, vista la mancanza nel comma 3 dell’indicazione di periodi tempo limitati, l’imposta è dovuta “per anno solare”, secondo quanto previsto dalla disposizione generale dell’articolo 9.

Il pagamento del tributo per anno solare risulta coerente con l’oggetto del tributo stesso, costituito (articoli 1, 3, 4 e 5, del Dlgs 507/1993) dai comportamenti pubblicitari, visivi o acustici, realizzati mediante affissione su appositi impianti o altri mezzi e da rinvenire, per costante orientamento di legittimità, non nell’attività di diffusione del messaggio ma nel mezzo pubblicitario disponibile e nella potenzialità di uso degli impianti fissi (Cassazione, sentenze 6446/2004, 109/2005, 21049/2007, 4783/2011 e 12940/2013).

Questa la disciplina vigente prima della modifica dell’articolo 12, comma 3, del Dlgs 507/1993, introdotta dall’articolo 145, comma 56, della legge 388/2000. La novella del 2000, infatti, ha previsto che dall’1 gennaio 2001 è applicabile, anche alle ipotesi di pubblicità mediante impianti (ex articolo 12, comma 3), la tariffa ridotta, commisurata alle esposizioni pubblicitarie di durata non superiore a tre mesi del messaggio. La modifica, tuttavia, ha portata innovativa ed è priva di efficacia retroattiva (Cassazione, sentenze 1915/07; 1161 e 2826 del 2008; 18143/2009; 9635/2012).

Di conseguenza, sino all’entrata in vigore della modifica legislativa (1 gennaio 2001), non può essere applicata la tariffa ridotta prevista dall’articolo 12, comma 2, Dlgs 507/1993 (Cassazione, sentenza 10826/2012).
La società, quindi, dovrà pagare non solo l’imposta ma anche le sanzioni. La Corte, al riguardo, ha ribadito che le stesse non possono essere disapplicate per incertezza interpretativa della norma tributaria (ex articolo 8, Dlgs 546/1992). Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di piazza Cavour, non sussistono le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie, come individuate dalla giurisprudenza della Corte (Cassazione, sentenze 4683/2012, 2192/2012 e 10173/2012).

In particolare, la disciplina normativa non si articola in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione che, comunque, la società non ha allegato (Cassazione, sentenza 4031/2012).
Né l’incertezza delle norme investe il contenuto, l’oggetto e i suoi destinatari, determinando insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa effettuato dal giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (Cassazione, sentenza 3245/2013).
Nessuna delle predette condizioni è stata allegata e dimostrata dalla società ricorrente né ricorre nelle norme coinvolte la pluralità di prescrizioni che appaia di difficile coordinamento o generatrice di confusione.


Fonte: Agenzia Entrate

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