Con sentenza n. 79/03/13 dell’8 novembre 2013, la Commissione tributaria provinciale di Prato ha riconosciuto la legittimità del recupero, scaturente da una complessa mole di indagini operate dalla Guardia di finanza, relativo a operazioni di trasferimento di denaro effettuate dall’Italia verso la Cina.
Si è trattato, in particolare, di un’articolata attività investigativa volta a reprimere un ampio e massivo fenomeno di fraudolento trasferimento di denaro verso istituti di credito esteri, per il tramite di numerose agenzie di money transfer, che – al fine di eludere l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette – mascheravano sistematicamente i reali mittenti delle rimesse in denaro, frazionando gli importi in tranche da 1.999,99 euro e indicando come autori delle transazioni finanziarie soggetti ignari o inesistenti.
Infatti, titolari di aziende o corrieri incaricati trasportavano il denaro, proveniente evidentemente da attività di carattere illecito, presso le agenzie del money transfer che, a loro volta, provvedevano a manipolare i dati identificativi dei reali soggetti mittenti per rendere possibile il frazionamento delle operazioni.

Ai fini dell’investigazione di natura penale, il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Firenze ha posto sotto sequestro l’archivio unico informatico di un noto intermediario finanziario di Bologna, cui facevano capo varie agenzie di money transfer.
Dall’analisi dell’archivio è emerso che:
da ottobre 2006 a giugno 2010 erano state effettuate rimesse dall’Italia verso la Cina pari a oltre 5 miliardi di euro
le operazioni di trasferimento erano fatte, verso gli stessi beneficiari, a intervalli di tempo brevissimi
le transazioni (effettuate in sequenza consecutiva) erano sempre pari a 1.999,99 euro, formalmente imputate a mittenti con codici fiscali inesistenti
si era creata una rete apparente di operazioni finanziarie realizzate da una moltitudine di clienti, moltitudine che, ove effettivamente esistente, avrebbe dovuto quotidianamente generare – in proporzione al volume di fondi movimentato – una chilometrica coda dinanzi agli sportelli degli operatori.
Di qui, l’accertamento, sottoposto al vaglio della Ctp, mediante il quale l’Agenzia delle Entrate ha recuperato a tassazione proventi illecitamente trasferiti all’estero da una società pratese per oltre 1.280 milioni di euro.

Nel riconoscere la fondatezza di tale avviso, la Ctp ha conferito rilevanza ai “numerosi elementi di prova acquisiti con indagini informatiche, appostamenti e strumentazione elettronica”, i quali “sono stati confrontati con l’Archivio Unico informatico dell’intermediario finanziario che ha confermato l’anomalia dello svolgersi del meccanismo diretto a generare un’alterata percezione circa la effettività dell’identità dei soggetti mittenti, con indubbia intenzionalità collaterale di sottrarre a tassazione le somme trasferite. In questo conteso, la pur parziale ammissione di trasferimento di somme modeste, convalida la riconducibilità alla società ricorrente dell’iniziativa e dell’attuazione del trasferimento delle somme depositate presso la detta agenzia”.

Le censure sollevate dalla società in sede di ricorso concernevano proprio la prova circa l’effettiva riconducibilità delle somme trasferite al soggetto accertato.
Tale prova era stata legittimamente fornita – rilevano i giudici – non solo attraverso le risultanze documentali dell’archivio unico informatico, ma altresì mediante le informazioni acquisite de visu dai finanzieri attraverso ripetuti appostamenti e intercettazioni ambientali, stante l’efficacia probatoria privilegiata dei fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top