L’accertamento induttivo extracontabile, eseguito ai sensi dell’articolo 55 del Dpr 633/1972, è legittimo quando il curatore fallimentare non esibisce all’Agenzia delle Entrate la documentazione contabile richiesta, che costituisce uno dei presupposti per la sua applicabilità. E non è rilevante la circostanza che l’inottemperanza all’ordine sia dovuta all’enorme mole di documenti giacente presso la cancelleria del tribunale fallimentare (circostanza che, ad avviso della difesa, avrebbe integrato l’esimente della forza maggiore), dal momento che l’accertamento induttivo non ha funzione sanzionatoria.
Sono le conclusioni cui giunge la Corte di cassazione nella sentenza n. 668 del 15 gennaio 2014.

La vicenda processuale di merito
L’ufficio ha emesso un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione dell’Iva ritenuta non dovuta sugli acquisti operati da una società, che non ne aveva documentato il relativo diritto con l’esibizione di fatture e libri contabili.

La Ctr Campania, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia, ha riformato la sentenza emessa dal giudice di primo grado, che aveva accolto il ricorso, presentato dalla curatela del fallimento della società in questione, avverso il predetto avviso di accertamento.
Il giudice di gravame sosteneva che la Ctp di Napoli aveva errato nel richiamare, a sostegno della legittimità della pretesa erariale, l’articolo 28 del Dpr n.633/1972 – rubricato “Dichiarazione annuale” – in quanto la fattispecie concreta era bensì regolata dagli articoli 51 e seguenti dello stesso Dpr 633/1972, che disciplinano le attribuzioni e i poteri degli uffici in materia di Iva.
Se, da un lato, si doveva convenire con l’ufficio che il mancato riconoscimento delle detrazioni derivava dall’assenza di motivazione delle fatture passive degli acquisti e del relativo registro, a norma dell’articolo 51, ultimo comma, Dpr 633/1972 (cfr articolo 32 del Dpr 600/1973), nel caso di specie era pacifico che l’omessa esibizione era giustificata, secondo il curatore, dalla gran mole di documenti contabili depositati presso la cancelleria del tribunale fallimentare.
Peraltro, la bontà dell’indagine dell’Amministrazione non ne risultava inficiata, in quanto l’ufficio avrebbe potuto prendere cognizione della documentazione, in quanto la richiesta di esibizione, di cui all’articolo 51, comma 2, n. 2), poteva essere ben sostituita dal compimento di ispezioni presso la cancelleria stessa, a norma del combinato disposto degli articoli 51, comma 2, n. 1) e 52, ultimo comma, del Dpr 633/1972.
La Ctr confermava, per contro, la pronunzia di primo grado con riferimento agli acquisti e ai ricavi in evasione.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, contro il quale resisteva, con controricorso, la curatela del fallimento della società.

La decisione
I tre motivi di impugnazione della sentenza di secondo grado, proposti dall’ufficio, vengono qui di seguito riassunti:
violazione dell’articolo 51 del Dpr 633/1972 e dell’articolo 5 della legge 28/1999 in merito al mancato riconoscimento della crescente rilevanza, attribuita dal legislatore, all’omessa consegna della documentazione contabile richiesta dall’ufficio
violazione dell’articolo 2697 del codice civile, in quanto la Ctr aveva distorto le regole che disciplinano il riparto dell’onere della prova, imponendo all’ufficio la dimostrazione dell’esistenza dei presupposti per la non detraibilità dell’imposta
vizio di insufficiente e illogica motivazione, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5) del codice di procedura civile, in relazione al fatto controverso della mancata esibizione della documentazione contabile richiesta, in quanto esistente in gran numero e già depositata presso la cancelleria fallimentare del tribunale.
In quella sede, la curatela ha eccepito che, nella sostanza, la società non era destinataria degli obblighi previsti dall’articolo 51 del Dpr 633/1972 e che l’invito dell’ufficio era da ricomprendere nelle previsioni contenute nei nn. 3) e 4), comma 2, del medesimo articolo, sicché non derivava alcuna conseguenza a causa della mancata ottemperanza, a differenza di quanto stabilito al comma 2, n. 2), dell’articolo 51.
Infine, è stato aggiunto che, a norma dell’articolo 16 del regio decreto 267/1942, i documenti contabili del fallimento devono essere depositati presso la cancelleria del tribunale fallimentare senza possibilità di essere rimossi.

La Corte di cassazione ha proceduto a un esame congiunto dei tre motivi di impugnazione suindicati.

In primo luogo, a differenza di quanto sostenuto dalla Ctr – la quale affermava che l’ufficio, in applicazione del combinato disposto degli articoli 51, comma 2, n. 2), e 52, ultimo comma, del Dpr 633/1972, poteva superare l’omessa presentazione della documentazione richiesta, perché il relativo contenuto era consultabile presso la cancelleria del tribunale fallimentare, senza che tale modalità operativa potesse incidere sulla genuinità dell’acquisizione – la suprema Corte ha ritenuto che l’avviso di accertamento era stato correttamente emesso, in quanto la legittimità dello stesso non poteva essere messa in discussione per il semplice fatto che la documentazione era depositata presso il tribunale fallimentare e ne risultava difficoltosa l’estrazione.
Infatti, la potestà di procedere all’accertamento induttivo, in materia di Iva, ai sensi dell’articolo 55 del Dpr 633/1972 non riveste carattere sanzionatorio del comportamento del contribuente, ma ne costituisce il presupposto fattuale (vedi anche sentenza 24424/2008).
In altri termini, è stato ribadito che il ricorso a questa forma di accertamento, da parte dell’ufficio, è consentito in tutte le ipotesi di assenza, indisponibilità o mancata esibizione di documentazione contabile che si sublimano in una forma sostanziale di inattendibilità della stessa (cfr Cassazione 20025/2010). Tutto questo porta a escludere la rilevanza di situazioni di caso fortuito o la causa di forza maggiore.

In secondo luogo, la Cassazione ribadisce la diretta applicabilità, al caso di specie, dell’articolo 51, comma 2, n. 2), Dpr 633/1972 – e non dei seguenti nn. 3) e 4) – così come invece prospettata dalla curatela fallimentare, per due ordini di motivi:
per ragioni procedurali, in quanto la stessa controricorrente non aveva mai sollevato tale distonia nel corso dei precedenti gradi di giudizio
per questioni di merito, in quanto non si può prescindere dal principio in base al quale la curatela fallimentare subentra in tutti gli obblighi posti a carico del contribuente fallito rispetto alle vicende di natura fiscale.
In relazione a quest’ultimo punto, la Cassazione ha più volte avuto modo di precisare (cfr Cassazione 16793/2002 e 15095/2003) che, in caso di fallimento, le obbligazioni tributarie continuano a essere poste a carico del soggetto fallito, mentre il curatore è chiamato a tutti gli adempimenti successivi, compreso quello di rispondere all’Amministrazione finanziaria.
Di conseguenza, correttamente l’ufficio ha proceduto alla notifica della richiesta di dati e chiarimenti nei confronti del curatore fallimentare.

La Cassazione ha rilevato, poi, ulteriori profili giuridicamente erronei e gravemente carenti dal punto di vista logico, nella sentenza della Ctr impugnata, qui di seguito riassunti:
stravolgimento delle regole in tema di onere della prova (cfr Cassazione 2362/2013)
confusione del contenuto dei poteri riconosciuti dalla legge all’ufficio in materia di accertamento di maggiore imponibile Iva, con l’obbligo, a carico del contribuente, di dimostrare i presupposti fattuali delle operate detrazioni
omessa indicazione, da parte della curatela, di qualsivoglia attività posta in essere al fine di dimostrare l’esistenza di un impedimento alla produzione della richiesta documentazione. Infatti, il curatore non aveva prodotto, in giudizio, alcuna nota attestante una richiesta, indirizzata al giudice delegato del fallimento, e finalizzata all’ottenimento dell’autorizzazione all’estrazione dei fascicoli richiesti dall’ufficio, a norma dell’articolo 86, Rd 267/1942, vigente all’epoca dei fatti contestati. Infatti, l’eventuale diniego o il silenzio del giudice delegato del fallimento potevano essere opposti, nel corso del procedimento, quali cause non imputabili al curatore accusato di omessa produzione della documentazione contabile.
La Cassazione, sulla base delle argomentazioni suesposte, riteneva le censure dell’Agenzia pienamente condivisibili e, ravvisando un’errata applicazione da parte della Ctr delle norme indicate, dichiarava legittima la pretesa fiscale.


Fonte: Agenzia Entrate

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