Al centro della controversia il ricorso di due società russe, attive nella produzione di ferro e silicio, che operavano vendite, all'interno dell'Unione europea, attraverso società collegate. Nel 2006, a seguito di una denuncia presentata dal Comitato di collegamento delle ferroleghe, la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping, relativo alle importazioni di ferro e silicio originario, fra l'altro, dalla Russia.
Nel 2007, quindi, la Commissione ha pubblicato il regolamento (CE) n. 994/2007, del 28 agosto 2007, che ha istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni dei detti materiali, provenienti anche dalla Russia. Il regolamento, adottato il 25 febbraio 2008, ha previsto l'aliquota di applicazione del dazio, franco frontiera, al 22,7% per i prodotti fabbricati dalle società russe.

Il ricorso dei produttori russi
L'articolata impugnazione del regolamento, da parte delle compagini russe, ben contrarie all'imposizione, di fronte al tribunale riguardava, in sostanza, cinque motivi:
errori sull'uso di un margine di profitto teorico per la costruzione del prezzo all'esportazione;
errori in relazione all'impegno di prezzo offerto da un altro produttore, con sede nella ex Repubblica di Macedonia;
errore manifesto di valutazione e violazione dell'art. 3 del Regolamento di base, riguardante la determinazione del pregiudizio;
errore manifesto di valutazione concernente l'analisi del nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping ed il pregiudizio;
violazione del diritto di difesa delle società russe, circa la comunicazione dei dati relativi all'apertura del procedimento antidumping.
La decisione
La Corte di giustizia, dichiarato irricevibile il primo motivo di doglianza, è passata a esaminare il secondo mezzo di impugnazione. In argomento, gli eurogiudici adducono che la disparità di trattamento, lamentata dalle ricorrenti, rispetto ai produttori esportatori della ex Repubblica di Macedonia, non ha ragion d'essere, in relazione ai rapporti tra Unione europea e lo Stato in questione e al ruolo che, nella vicenda, ha avuto il Consiglio di stabilizzazione e di associazione, il quale deve essere informato del caso di dumping, non appena è stata avviata un'inchiesta antidumping.
Quanto al terzo motivo di censura della sentenza del Tribunale, inerente la mancata ricezione da parte delle ricorrenti di alcuni documenti riservati, la Corte di giustizia conferma l'interpretazione del collegio di maggiore prossimità, inferendo che le parti interessate devono avere la possibilità di accedere alle informazioni inerenti l'inchiesta antidumping, ma non vi è alcun obbligo, da parte delle istituzioni, di inoltrare tali dati ai produttori.
Nè, secondo gli eurogiudici, sussiste alcuna lesione del principio di buona amministrazione, in quanto non è stata dimostrata alcuna lesione del diritto di difesa delle ricorrenti. Le produttrici russe, difatti, non sono state in grado di dimostrare che avrebbero operato una diversa politica dei prezzi, ove informati del Regolamento provvisorio.
Anche il successivo motivo di censura, vagliato dalla Corte, riguardava la pretesa disparità di trattamento rispetto al produttore macedone. Su questo ulteriore punto, gli eurogiudici chiariscono che i produttori russi non hanno chiarito in che termini si palesasse la loro discriminazione né dimostrato che, se avessero avuto accesso in sede di istituzione del regolamento provvisorio alla posizione del produttore macedone, avrebbero tenuto un diverso comportamento.

Dazi antidumping e lesione dell'industria comunitaria
Ciò posto, la Corte si rivolge all'analisi del dazio antidumping, ricordando che esso può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping, solo se la sua immissione in libera pratica nella Comunità causi un “pregiudizio”. Questo requisito va inteso come minaccia di un grave pregiudizio per l'industria comunitaria oppure come grave ritardo nello sviluppo di tale industria, considerata come insieme di tutti i produttori comunitari di beni similari. Il tribunale ha operato la valutazione correttamente, secondo la Corte di giustizia, considerando, nell'esercizio del suo potere discrezionale, la complessità delle situazioni giuridiche, politiche ed economiche di riferimento.
In definitiva, tale valutazione, anche sotto il profilo della congruità motivazionale, viene ritenuta esente da censure.

Le conclusioni
Pertanto, la Corte di giustizia ha respinto il ricorso dei produttori russi, con loro condanna alla sopportazione delle spese del giudizio, dichiarando del tutto legittima la sentenza del Tribunale, che aveva riconosciuto la correttezza del dazio antidumping, imposto con il regolamento censurato.


Fonte: Agenzia Entrate

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