In caso di delitti “dichiarativi” commessi da società che hanno optato per il regime della fiscal unit la competenza a giudicare spetta al tribunale del domicilio fiscale della compagine che ha presentato la dichiarazione del consolidato, in applicazione del combinato disposto dell’articolo 18 del Dlgs 74/2000 e dell’articolo 8 del codice di procedura penale.
È questa la pragmatica conclusione cui è giunta la Cassazione con la sentenza 43899 del 25 ottobre, con cui ha risolto un conflitto “negativo” di competenza.

La vicenda processuale
Con sentenza del 2012, il tribunale di Milano declinava la propria competenza territoriale in relazione a un procedimento penale a carico di venti imputati chiamati a rispondere del reato di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’articolo 81 del codice penale e dell’articolo 3 del Dlgs 74/2000.
La pronuncia si fondava sul riconoscimento del vincolo della connessione tra i reati contestati, sia perché commessi in concorso sia in virtù della continuazione: per tale motivo, in applicazione dell’articolo 16 del cpp, la competenza per tutti i reati compiuti doveva ritenersi radicata in capo al giudice del luogo di commissione del reato più grave, ovvero, se tutti di pari gravità, a quello realizzato per primo che, nel caso in esame, era il tribunale di Bologna, dove aveva il domicilio fiscale la società che per prima aveva presentato la dichiarazione dei redditi.
Il Gup di Bologna, dal canto suo, ha ritenuto che, non potendosi applicare il criterio principale dell’articolo 18 del Dlgs 74/2000 per la diversità dei domicili fiscali delle società partecipanti al gruppo (tutte imputabili a titolo di concorso nella commissione dell’unica condotta criminosa, visto che nel consolidato l’obbligo di presentazione della dichiarazione compete a tutte le società), doveva farsi riferimento al luogo in cui era avvenuto l’accertamento del reato, ovvero Milano.

In particolare, secondo il tribunale di Milano, nonostante le dichiarazioni fraudolente fossero state presentate dalla società consolidante (secondo il modello della fiscal unit delineato dal Dlgs 344/2003) e sebbene tali dichiarazioni fossero derivate, in relazione ai dati esposti, da quelle delle singole imprese del gruppo, costituenti la base conoscitiva per la liquidazione dell'unica imposta, la soggettività passiva di imposta continuava ad appartenere autonomamente a tutte le società del gruppo dato che la scelta del sistema del consolidato fiscale nazionale non consente di individuare un nuovo e autonomo soggetto giuridico. Ne deriverebbe l’inapplicabilità del criterio di determinazione della competenza basato sul luogo di consumazione del reato, inteso come domicilio fiscale del contribuente (articolo 18, comma 2, del Dlgs 74/2000, norma speciale rispetto all’articolo 8 cpp), trattandosi di più soggetti ugualmente responsabili e con domicilio fiscale diverso.
Il criterio dirimente allora andava rinvenuto nell’articolo 16 del codice di procedura penale, che fissa la competenza per territorio basata sulla connessione dei procedimenti.

Il Gup di Bologna, pur concordando sul fatto che sia la società controllante sia le controllate assumano egualmente la veste di contribuenti e quindi di soggetti obbligati fiscalmente, per cui tutte le loro singole dichiarazioni concorrono in egual modo a realizzare l’unica condotta configurata per la consumazione del reato contestato, giunge a conclusioni diverse: secondo lo stesso, sono da considerarsi inapplicabili sia il criterio del domicilio fiscale (di cui al predetto articolo 18, comma 2) sia quello di cui all’articolo 8 cpp, non essendo chiaro il luogo di consumazione del reato.
Non restava che riferirsi, quindi, al criterio residuale del luogo di accertamento del reato fissato dall’articolo 18, comma 1, del Dlgs 74/2000 che, nel caso specifico, andava individuato in Milano.

La pronuncia della Cassazione e ulteriori considerazioni
La Cassazione ricostruisce dapprima la condotta materiale che ha portato alla contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta (ex articolo 3 del Dlgs 74/2000) proseguendo, nel percorso logico-motivazionale, con la descrizione della fattispecie astratta in relazione alla particolarità del fenomeno del consolidato fiscale, per poi pervenire, attraverso l’interpretazione delle norme sulla competenza territoriale, alla determinazione della stessa, con l’individuazione del tribunale di Roma.

Il caso concreto si era caratterizzato per una pluralità di condotte materiali rappresentate:
dall’annotazione nelle scritture contabili delle singole società partecipanti al consolidamento di dati non veritieri sulla natura degli elementi attivi percepiti
dall’impiego di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento dell’illecito commesso
dalla esposizione non veritiera di tali elementi, dapprima nelle dichiarazioni dei redditi presentate individualmente dalle singole società del gruppo, quindi in quella consolidata, presentata dalla capogruppo “con la conseguente fraudolenta determinazione dell'imponibile, sottrazione di elementi attivi e liquidazione dell'imposta in misura inferiore al dovuto”.
La Cassazione, poi, ricostruisce l’istituto del consolidato disciplinato dagli articoli 118 e seguenti del Tuir, in base al quale, per effetto di opzioni bilaterali operate da società controllate e società controllante, ciascuna partecipante è obbligata a determinare il proprio reddito complessivo netto secondo le ordinarie regole e a presentare all’Amministrazione finanziaria la propria dichiarazione dei redditi con esposizione dei dati necessari per determinare l’imponibile senza liquidazione dell’imposta, mentre grava sulla controllante presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato, calcolare il reddito complessivo del gruppo, liquidare l’imposta, procedere al relativo versamento a saldo e in acconto, nonché all’utilizzo delle eventuali eccedenze d’imposta o riportabili a nuovo.

Alla luce di ciò e trattandosi di delitto a natura istantanea, che si perfeziona nel momento di presentazione della dichiarazione fraudolenta (cfr Cassazione, sentenza 12455/2011), la competenza viene individuata nel tribunale di Roma, in quanto luogo di presentazione della dichiarazione consolidata, ovvero di consumazione del reato de quo.

I giudici di legittimità, quindi, prescindendo dalle ricostruzioni dottrinarie del fenomeno del consolidato e dalla nascita o meno da esso di un nuovo soggetto giuridico, propendono per una soluzione di tipo “pragmatico”.
Il consolidato, infatti, ha il suo epilogo e assume rilievo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria “con la dichiarazione consolidata, e ciò a prescindere dal fatto che obbligata fiscalmente sia solo la consolidante, oppure questa e le consolidate; infatti, con la dichiarazione del gruppo si assolve all'obbligo tributario, si realizza la sottoposizione all'amministrazione di un documento complessivo fraudolento che realizza la condotta illecita tipica e si verifica il correlativo danno per l’Erario in termini di minori introiti fiscali per effetto dell'esposizione non veritiera di dati concorrenti a determinare l’imponibile e della liquidazione di un'imposta in misura inferiore a quanto realmente dovuto”.

Ne consegue che, non potendosi applicare il criterio primario di determinazione della competenza territoriale come previsto dall’articolo 18, comma 2, del Dlgs 74/2000 (il luogo del domicilio fiscale del contribuente), non essendovi un unico domicilio fiscale rilevante, va applicato quello sussidiario (per i reati fiscali) di cui all’articolo 8, comma 1, cpp ovvero il luogo di consumazione del reato, inteso come quello in cui si è perfezionata la condotta fraudolenta con conseguente danno per l’erario: il luogo di presentazione della dichiarazione consolidata da parte della società consolidante.


Fonte: Agenzia Entrate

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