Con la sentenza n. 16692 del 3 luglio, la Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito alla natura perentoria ovvero ordinatoria del termine semestrale entro il quale i soggetti non residenti sono tenuti a presentare l’istanza di rimborso del tributo assolto sull’acquisto di beni e/o servizi in un altro Stato membro (nella specie, Italia), di cui all’articolo 7, par. 1, co. 1, della direttiva Cee n. 79 del 6 dicembre 1979, recepito nel nostro ordinamento con l'articolo 38-ter del Dpr 633/1973 (entrambi nel tenore vigente “ratione temporis”).

Come noto, l'articolo 7, par.1, co.1, della direttiva n. 79/1072/Cee del 6 dicembre 1979 (vigente all’epoca dei fatti dedotti in controversia), fissava detto termine nel sesto mese successivo allo scadere dell’anno civile nel corso del quale l’imposta era divenuta esigibile e, cioè, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui era sorto il diritto al rimborso (termine successivamente prorogato al 30 settembre dello stesso anno, a seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2008/9/Ce del 12 febbraio 2008, recepita nel nostro ordinamento dal Dlgs 11 febbraio 2010, n. 18).

Il termine in questione era stato introdotto nella normativa nazionale con l’articolo 1 del Dm 20 maggio 1982, attuativo della disciplina recata dall’articolo 38-ter del Dpr 633/1972 (ora confluita negli articoli 38-bis2 e 38-bis3 del citato Dpr n. 633), senza peraltro specificarne la natura perentoria, o meno.

Come ricordato dalla Suprema corte nella sentenza in nota, l'incertezza generata dalla mancata indicazione della natura di detto termine aveva determinato l'insorgere di un contrasto giurisprudenziale, sanato solo da una recente pronuncia della Corte di giustizia europea.
La Corte di giustizia, con la sentenza 21 giugno 2012, n. C-294/11, ha infatti riconosciuto al termine in questione carattere decadenziale e, quindi, posto a pena di decadenza dall'esercizio del relativo diritto (in senso conforme: Cassazione 5 aprile 2013, n. 8366; 15 marzo 2005, n. 5559; 13 aprile 2005, n. 7703; 3 maggio 2005, n. 9142; mentre, in senso contrario: Cassazione 12 gennaio 2010, n. 286; 1° dicembre 2004, n. 22563).

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione ha inteso conformarsi all'interpretazione da ultimo fornita dai Giudici europei, ricordando che, viceversa, considerare il medesimo termine come avente carattere meramente ordinatorio, si porrebbe in contrasto con lo scopo (perseguito dalle medesime direttive) di armonizzazione delle diverse discipline interne vigenti in materia nell’ambito dei vari Stati membri.
Le conclusioni cui perviene la sentenza in esame si pongono in linea anche con quanto in passato affermato dall’Amministrazione finanziaria nazionale con la risoluzione n. 320966 del 24 luglio 1985, nonché la risoluzione n. 47/E dell’11 aprile 2000.


Fonte: Agenzia Entrate

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