L’onere gravante sugli eredi del contribuente di far conoscere le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, al fine della notificazione degli atti tributari riguardanti il de cuius, va assolto mediante comunicazione presentata direttamente all’ufficio o trasmessa con lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Questa, in breve, la regola ribadita dalla Cassazione con la sentenza n. 17430/2013 che, nel rigettare la tesi contraria sostenuta da un contribuente, ha escluso che la comunicazione in questione possa essere sostituita da altre fonti di conoscenza indirette.

La vicenda di merito e il ricorso per cassazione
Un contribuente proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento con la quale, ai sensi dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973, era stata riliquidata la dichiarazione dei redditi “Unico 2000”, relativa all’anno 1999, presentata dal coniuge deceduto nell’agosto 2001.
Tra le eccezioni del ricorso, l’interessato, per quanto d’interesse in questa sede, lamentava la nullità della notificazione dell’atto della riscossione in quanto avvenuta a nome del defunto malgrado l’ufficio fosse a conoscenza sia del decesso che delle generalità degli eredi.

L’adita Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso, con decisione confermata dalla sentenza n. 185/4/2006 del 2 novembre 2006 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, che rigettava l’appello proposto dall’interessato.
In particolare, quanto all’asserito vizio della notifica, il Collegio d’appello osservava che non era stata fornita la prova dell’effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 65 del Dpr 600/1973 e che, pertanto, la procedura di notificazione seguita doveva ritenersi regolare.

La parte privata proponeva ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Con l’unica doglianza l’istante, premesso che la cartella di pagamento risultava intestata e notificata a persona defunta, ne deduceva la nullità asserendo che l’Amministrazione finanziaria era a conoscenza dell’avvenuto decesso e del nominativo degli eredi. La dichiarazione di successione, sottolineava inoltre il ricorrente, era stata presentata all’ufficio del Registro e, pertanto, a suo parere, la notificazione avrebbe dovuto essere effettuata personalmente agli eredi ovvero collettivamente all’ultimo domicilio del defunto.
In sostanza, la pronuncia della Commissione regionale veniva censurata nella parte in cui, in relazione alle modalità di notificazione dell’atto tributario, aveva ritenuto mancante la prova della conoscenza da parte dell’Agenzia sia dell’avvenuto decesso dell’interessato che delle generalità dei suoi eredi.

La pronuncia della Corte suprema
Il Collegio di piazza Cavour ha concluso per l’infondatezza del ricorso, condannando altresì il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del grado di legittimità.
In particolare, la Corte ha preso le mosse dalla disposizione del secondo comma dell’articolo 65 del Dpr 600/1973, il quale prevede che gli eredi del contribuente “devono comunicare all’ufficio… del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale”.
Poiché, in base alla citata norma, detta comunicazione “può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, ne deriva, secondo quanto si legge nella sentenza in commento, che “deve escludersi che la stessa possa essere sostituita da altre fonti di conoscenza indirette”.

Sul punto, ricorda la pronuncia, si è infatti ritenuto che, in caso di decesso del contribuente, “la notificazione della cartella esattoriale a lui intestata è legittimamente effettuata presso l’ultimo domicilio del defunto ed è efficace nei confronti degli eredi, ove questi ultimi non abbiano tempestivamente provveduto alla comunicazione prescritta (dall’articolo 65 citato)… non assumendo alcun rilievo le indicazioni contenute nella dichiarazione dei redditi, le quali non possono validamente sostituire la predetta comunicazione…”.

Osservazioni
L’articolo 65 del Dpr 600/1973, dopo aver previsto che gli eredi “rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa”, stabilisce a carico degli eredi stessi l’onere di comunicare – mediante presentazione diretta o tramite raccomandata con avviso di ricevimento (precisando che, in questo secondo caso, la comunicazione si intende fatta nel giorno di spedizione) – all’ufficio dell’ultimo domicilio fiscale del de cuius le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.
Detta comunicazione assume rilievo ai fini dell’individuazione del luogo in cui può essere eseguita la notificazione degli atti tributari intestati al defunto che, infatti, in base al quarto comma dell’articolo 65, può essere effettuata “agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma”.

In sostanza, solo laddove vi sia stata la comunicazione in parola e siano decorsi almeno trenta giorni dalla stessa, è consentito agli eredi contestare, sotto il profilo dell’erronea individuazione del luogo di esecuzione, la notifica eseguita nell’ultimo domicilio del defunto invece che presso il loro domicilio personale.
Secondo la giurisprudenza, confermata dalla sentenza in commento, la comunicazione de qua deve peraltro rispettare le formalità prescritte dalla norma, non potendo riconoscersi medesima valenza a fonti di conoscenza “indiretta” – quale, per citare un altro esempio, le indicazioni contenute nella dichiarazione dei redditi (Cassazione, sentenza n. 15417/2008) – che, quindi, non sono ritenute equivalenti alla specifica comunicazione prevista dalla disciplina.


Fonte: Agenzia Entrate

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