Con la sentenza 17 aprile 2013, n. 9310, la Cassazione si è pronunciata nell’ambito di una controversia relativa alla rimborsabilità dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti versata dalla società ricorrente e dichiarata non dovuta dalla Corte di giustizia con sentenza del 25 settembre 2003 (causa n. C-437/01), in quanto contrastante con l’ordinamento comunitario.
In accoglimento delle argomentazioni prospettate dall’Amministrazione doganale, nella sentenza impugnata si affermava, in particolare, che l’omessa comunicazione della domanda di rimborso anche all’Agenzia delle Entrate comportava l’inammissibilità dell’istanza, atteso che tale invio integrava un requisito previsto a pena di decadenza dall’articolo 29, comma 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (“legge comunitaria per il 1990”).

Al riguardo, giova preliminarmente ricordare che l’articolo 29, dopo avere disposto (comma 2) che “I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti”, aggiunge al comma 4 che “La domanda di rimborso dei diritti e delle imposte” menzionati, “quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza”.

La Cassazione osserva, in primo luogo, che la previsione, a pena di inammissibilità, della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate sancita dalla norma soprariportata deve ritenersi contemplare un requisito che attiene alla possibilità del contribuente di ottenere il rimborso reclamato, come tale addirittura rilevabile ex officio dal giudice in qualunque stato e grado del giudizio (sull’argomento, cfr le sentenze n. 10325 del 2 dicembre 1994, n. 6844 del 16 giugno 1995, n. 13793 del 22 luglio 2004 e n. 22564 del 1° dicembre 2004).

Il S.C. esclude, inoltre, che l’obbligo di comunicazione della domanda di rimborso, a pena d’inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza possa considerarsi implicitamente abrogato, per incompatibilità logica e giuridica, dal sopravvenuto articolo 14 del Testo unico delle accise (Tua, emanato dal decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504), non ravvisandosi fra le due disposizioni (l’articolo 29, comma 4, e l’articolo 14 del Tua) alcuna sovrapposizione in relazione al diverso contenuto dispositivo reso palese dal tenore letterale: l’uno (articolo 14), rivolto a fissare il termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso; l’altro (articolo 29), correlato alle peculiari modalità di attuazione di siffatta pretesa e allo specifico interesse dell’Agenzia delle Entrate in ordine ai riflessi sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza.

In questi termini, si era peraltro già espressa la sentenza n. 13087 del 25 luglio 2012, nella quale si affermava altresì che l’esigenza di rendere concretamente operante il coordinamento tra i due diversi uffici dell’Amministrazione coinvolti importa che l’obbligatoria comunicazione all’Agenzia delle Entrate debba essere fatta dal contribuente contestualmente, o, al più tardi, prima del provvedimento di diniego e, se non ancora intervenuto, non oltre il biennio decadenziale, restando inoltre escluso che possa rilevare una comunicazione postuma per conseguire dal Fisco un provvedimento in via di autotutela, attesa la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata e la mancanza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto stesso.

I giudici di legittimità respingono anche la tesi che ravviserebbe un effetto discriminatorio dell’adempimento in esame, con riguardo al rimborso di imposta contrastante con il diritto comunitario, rispetto a forme di rimborso previste per tributi non disciplinati dal diritto comunitario, applicandosi il comma 4 dell’articolo 29 anche alle istanze concernenti tributi regolati dal diritto interno, ai quali si riferisce peraltro il comma 3 dello stesso articolo (“... chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali” ex art. 19 del D.L. n. 688 del 1982, “quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario”).

Tale orientamento della Cassazione trova conferma anche nella giurisprudenza comunitaria: con la sentenza 9 febbraio 1999, causa n. C-343/96, la Corte di giustizia ha infatti riconosciuto che l’articolo 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990 si applica a tutti i diritti e i tributi menzionati ai commi 2 e 3 dello stesso articolo, sia che la domanda di rimborso si fondi sul diritto nazionale sia che si fondi sul diritto comunitario, e non ha per conseguenza né per effetto di privare gli interessati della possibilità di fruire dell’applicazione effettiva del diritto comunitario, né di porli in una situazione meno favorevole di quella in cui si troverebbero se domandassero il rimborso di diritti o imposizioni contrari al diritto interno.

Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha dunque respinto i profili di censura prospettati dalla società ricorrente. I giudici di legittimità non ritengono, infatti, condivisibile il tentativo di individuare, nel comportamento dell’Agenzia delle Dogane destinataria dell’istanza di rimborso, vuoi un contegno di acquiescenza rispetto alla domanda del contribuente per effetto della richiesta di documentazione, malgrado la mancata comunicazione dell’istanza all’Agenzia, vuoi un obbligo di comunicazione dell’istanza all’Agenzia delle Entrate in forza dei principi di cooperazione e buona fede sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), unitamente al principio di affidamento.

Quanto al primo profilo, il S.C. rimane fermo nell’escludere qualunque valenza di riconoscimento del debito da parte dell’Amministrazione, ogniqualvolta questa chieda al contribuente l’invio di documentazione correlata a pregresse istanze di rimborso (in questo senso, cfr la sentenza n. 18929 del 16 settembre 2011), non potendosi quindi sostenere alcun legittimo affidamento dal contegno dell’Agenzia delle Dogane.
Sul punto, la Cassazione aggiunge che, ai fini della configurabilità dell’affidamento, che pure trova tutela nell’ordinamento giuridico nazionale come anche a livello comunitario, è necessario un comportamento espresso dell’Amministrazione; circostanza, questa, che non può ravvisarsi nella mera richiesta di documentazione da parte dell’Agenzia delle Dogane, dalla stessa emergendo soltanto che l’Amministrazione, a fronte della richiesta del contribuente, ha iniziato l’iter volto alla verifica dei presupposti necessari per l’eventuale accoglimento della stessa.

La Corte respinge, inoltre, il tentativo della ricorrente di applicare alla fattispecie de qua la giurisprudenza relativa all’obbligo dell’Amministrazione incompetente di trasmettere a quella competente un’istanza inoltrata dal privato (vedi le sentenze n. 9407 del 6 giugno 2005 e n. 10537 del 13 maggio 2011): nel caso di specie, infatti, non può in alcun modo porsi un problema di invio dell’istanza a organo incompetente, una volta che la società aveva puntualmente indirizzato la richiesta all’Agenzia delle Dogane senza tuttavia provvedere a un adempimento “ulteriore” previsto dall’articolo 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, a carico del contribuente e a pena di inammissibilità; a seguire la tesi della società contribuente, si finirebbe infatti con lo stravolgere il sistema normativo che governa lo specifico settore delle istanze di rimborso in materia di imposte indebitamente versate dal contribuente, addossando sull’Amministrazione un onere di supplenza rispetto all’inerzia del contribuente che è specificamente tenuto a un adempimento, fissato in termini chiari e inequivocabili, da una disposizione di legge di rango ordinario.


Fonte: Agenzia Entrate

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