In tema di accertamento generato da omessa dichiarazione dei redditi, l'onere della prova sulla detraibilità di costi, che l'ufficio analiticamente ha disconosciuto, incombe sul contribuente. Inoltre, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, Dlgs 289/2002, l'effetto di inapplicabilità delle sanzioni è collegato soltanto alla presentazione di una dichiarazione integrativa conforme al modello legale.
Questi i principi di diritto desumibili dall’ordinanza della Cassazione n. 16573 del 2 luglio.

I fatti
La controversia riguarda un avviso di diniego di condono e tre avvisi di accertamento per omessa dichiarazione dei redditi, emessi nei confronti di un contribuente.
La Ctp di Treviso respingeva i ricorsi riuniti, ma la Ctr di Venezia accoglieva parzialmente l'appello del privato.
In particolare, i giudici veneti evidenziavano che, ove sia stata del tutto omessa la presentazione della dichiarazione, occorre tenere conto anche delle componenti negative del reddito emerse dagli accertamenti compiuti, pena (in diversa ipotesi) l'assoggettamento a imposta del profitto lordo, anziché di quello netto.
Quanto al profilo delle sanzioni, la Ctr di Venezia ne disponeva la revoca, in considerazione del fatto che il contribuente aveva richiesto, pur se in modo erroneo, la definizione agevolata. Inoltre, inferiva la Ctr, l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, per effetto della mancata trasmissione all'Anagrafe tributaria da parte dell'intermediario, poteva rappresentare motivo di giustificazione e di esclusione della responsabilità.

Il ricorso dell’Agenzia
L’Agenzia delle Entrate affida il ricorso a due motivi di diritto: il primo, in particolare, concerneva la violazione dell'articolo 2697, codice civile, per avere la Ctr riconosciuto la deducibilità di costi ulteriori, rispetto a quelli che erano stati disconosciuti analiticamente nell'avviso di accertamento. Di contro, secondo l'Amministrazione finanziaria, la prova della certezza e dell'inerenza di tali costi doveva essere fornita dal contribuente. Con il secondo motivo, poi, articolato nelle censure di violazione e di falsa applicazione dell'articolo 15, comma 1, legge 289/2002, l'Agenzia contestava la revoca delle sanzioni, poiché la circostanza della consegna a un intermediario delle dichiarazioni omesse, non era corroborata dalla prova, di parte contribuente, di aver anche procurato all'intermediario stesso la provvista per il pagamento delle imposte dovute per gli anni in considerazione.

Le motivazioni
La Suprema corte ritiene la censura manifestamente fondata, tanto da dirimere la controversia con ordinanza, in camera di consiglio.
Quanto al primo aspetto, la Cassazione reperisce una violazione della regola di riparto dell'onere della prova. Infatti, in sede di accertamento generato da omessa dichiarazione dei redditi, in caso vi siano costi che l'ufficio abbia analiticamente disconosciuto, spetta al contribuente l'onere della prova contraria, affinché siano stati contestati i requisiti di certezza e inerenza dei costi medesimi.
Riguardo la revoca delle sanzioni, diretto precipitato del disposto di cui al “condono del 2002”, i Supremi giudici fanno propria l'eccezione dell'ufficio, che ha ricordato come, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, Dlgs 289/2002, l'effetto di inapplicabilità delle sanzioni è collegato soltanto alla presentazione di una dichiarazione integrativa conforme al modello legale.
Nel caso de quo, conclude la Cassazione, appare ingiustificabile l'accoglimento delle ragioni di parte privata, in difetto di qualsivoglia fonte di prova in merito alle ragioni dell'omessa presentazione delle dichiarazioni.

Conclusioni
In caso di dichiarazione dei redditi omessa, plurime pronunce della Cassazione hanno stabilito che il contribuente può, comunque, provare l'esistenza di componenti negative – ex articolo 109 Tuir – senza, però, potersi giovare della prova documentale, per dimostrare un fatto a sé vantaggioso.
Trova, quindi, applicazione il principio generale e fondante processual-civilistico, ossia il “principio della domanda” (articolo 2697 cc), per cui chiunque vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il suo fondamento.
Così, spetta al contribuente, nel caso in cui l'ufficio disconosca analiticamente determinati costi, provarne la loro certezza e “inerenza, mediante elementi certi e precisi” (Cassazione 4755/2010).
Qui, invece, il contribuente, nei fatti, era stato esentato dal fornire alcuna prova, a fronte della contestazione dell'Amministrazione finanziaria.
E' evidente come la Ctr abbia evidentemente mal governato la normativa generale in materia di onere della prova in merito alla sussistenza delle componenti negative reddituali.


Fonte: Agenzia Entrate

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