L’Amministrazione finanziaria è legittimata a recuperare a tassazione la plusvalenza derivante dalla risoluzione anticipata di un contratto di locazione commerciale, se il locatario non dimostri di avere subìto un danno, senza che rilevi, a tal fine, quanto riportato nella fattura. In questi termini si è espressa la Corte di legittimità nell’ordinanza n. 16460 dell’1 luglio, che ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza di appello.

I fatti di causa
L’Amministrazione finanziaria impugna in Cassazione una sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, nel rigettare l’appello dalla stessa proposto, aveva confermato l’annullamento di un avviso di accertamento per Iva, Irpeg e Irap (anno di imposta 2002), emesso nei confronti di una società immobiliare. L’accertamento riguardava, tra l’altro, la ripresa a tassazione della somma da quest’ultima ricevuta a seguito della risoluzione anticipata di una locazione commerciale intercorsa tra la stessa e un’altra società; somma che, per i giudici di appello, era stata corrisposta a titolo di risarcimento danni e quindi non poteva essere sottoposta a imposizione, non costituendo una plusvalenza.

Col primo motivo, l’Amministrazione lamenta l’erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui i giudici lombardi non hanno tenuto conto che l’atto impositivo era fondato unicamente sulla ripresa a tassazione della plusvalenza costituita dalla somma scaturita dal contratto con cui le parti avevano risolto quello di affitto precedente, senza che fosse stata dedotta la questione della simulazione contrattuale e senza che l’indicazione della fattura, circa il risarcimento del danno, potesse fare surrettiziamente ritenere l’operazione esente da Iva (anche perché, dopo soli undici giorni dal rilascio del locale, l’immobile era stato nuovamente affittato a un’altra società, a un canone maggiorato).
Pertanto, secondo la tesi erariale, i locali commerciali erano stati rilasciati in ottimo stato e che nessun lucro cessante si era determinato a causa della risoluzione anticipata del contratto.

Col secondo motivo, l’Amministrazione ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non aveva considerato che spettava alla contribuente fornire la prova del suo assunto, inteso a fruire dell’esenzione fiscale, dimostrando che in concreto aveva subìto un danno, e che il contratto, a prescindere da ogni forma, era inteso al relativo risarcimento, trattandosi di norme di stretta interpretazione, per le quali l’onere della prova non poteva essere invertito.

La decisione della Cassazione
Per la Corte suprema, le doglianze sono fondate e il ricorso merita accoglimento. Con riferimento al primo motivo, la Cassazione ritiene che la sentenza impugnata non chiarisce adeguatamente se il contratto di risoluzione anticipata mirasse, dal punto civilistico e fiscale, soltanto a regolare il rapporto tra le parti, senza che in realtà ci fosse stato alcun danno per la locatrice – tenuto conto che i locali erano stati riaffittati qualche giorno dopo il rilascio degli stessi – e senza che potesse darsi rilievo alla mera indicazione di danno in fattura.

Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, “…l’interpretazione del contratto ai fini fiscali, volta a stabilire se il negozio sia soggetto all’imposta di registro piuttosto che all’Iva, ovvero rientri tra le ipotesi di agevolazioni fiscali, deve avvenire con criteri diversi da quelli utilizzabili ai fini civilistici, e deve attribuire rilievo preminente agli effetti del negozio ed alla necessità di prevenire frodi ed abusi (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 23584 del 20/12/2012, n. 9162 del 2010). È vero che per il disposto dell’art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 non concorrono a formare la base imponibile IVA - che consegue alla cessione di beni e alla prestazione di servizi - le somme dovute a titolo di risarcimento del danno nonché a titolo di interessi moratori…ma nella specie non risulta specificato che si sia trattato di una fattispecie analoga, posto che nessun elemento concreto è stato addotto per ritenere che in realtà ci fosse stato un danno effettivo, cui quel contratto era inteso a porre rimedio (V. pure Cass. Sentenze n. 17633 del 27/06/2008, n. 13345 del 2006)”.

Con riferimento alla seconda doglianza, la Cassazione ribadisce “…che in tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 21406 del 30/11/2012, n. 13954 del 2011)”.

Invero, prosegue la Corte, il giudice di appello ha omesso di spiegare adeguatamente le argomentazioni attraverso le quali ha rigettato il ricorso, riportandosi semplicemente all’indicazione, peraltro non rilevante, della fattura.

Infine, con riguardo ai contratti locatizi di immobili destinati a uso diverso da quello abitativo (secondo motivo), la Corte suprema precisa che “…la violazione della normativa fiscale non incide sulla validità del contratto, ma ha rilievo esclusivamente tributario, dal momento che in tema di accertamento della imposta sul valore aggiunto, l’ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione relativa in grado di pregiudicare il diritto dell’amministrazione alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare “incidenter tantum”, attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato, l’esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria, mentre invece nella specie l’agenzia contestava la sussistenza di eventuali danni, nonostante la mera indicazione della fattura (v. pure Cass. Sentenze n. 1549 del 24/01/2007, n. 17221 del 2006)”.


Fonte: Agenzia Entrate

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