L’organizzazione e l’utilizzo di beni strumentali di ampie dimensioni snaturano l’attività svolta dal professionista legittimando la tassazione dei redditi prodotti come fossero d’impresa. Questo è quanto ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 13509 del 29 maggio che, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha ribadito la mancanza di coincidenza tra la nozione di reddito di impresa secondo l’ordinamento civile e quello tributario.

La vicenda
Il caso trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento nei confronti di un geometra al fine della rettifica dei redditi prodotti, in un determinato periodo di imposta, riferibili, secondo l’Amministrazione finanziaria, a reddito di impresa e non di lavoro autonomo come, invece, ritenuto dal contribuente.

Avverso la diversa pretesa impositiva, il contribuente adì la Commissione di primo grado, che accolse la tesi difensiva del professionista, annullando gli atti notificati dagli uffici finanziari.

Di giudizio diametralmente opposto, la Commissione tributaria di secondo grado che riformò la decisione adottata dai giudici di prime cure.
In particolare, la Ctr chiarì che, nel caso di specie, l’organizzazione e l’utilizzo di beni strumentali di ampie dimensioni avevano snaturato l’attività svolta dal contribuente, caratterizzata dall’assunzione di dati, dalla loro elaborazione e dalla redazione e illustrazione di carte topografiche in modo tale che l’organizzazione di beni e di persone non poteva che “ampiamente supportare il lavoro del geometra e costituire certamente la preminenza sul lavoro intellettuale la professione di geometra era al servizio della ponderosa organizzazione che, complessa com'era la struttura imprenditoriale, poteva benissimo agire in modo indipendente e fuori dalla stragrande maggioranza dei casi dal controllo tecnico del geometra”.

Il giudizio fu confermato anche dalla Commissione tributaria centrale, che respinse l’appello presentato dal contribuente. Quest’ultimo, poi, ricorse in Cassazione.

L’ordinanza
La prima parte del ricorso di legittimità è stato improntato, dalla difesa del professionista, su questioni procedurali poste a far cadere la sentenza di merito e che, non essendo di interesse fiscale, si ritiene opportuno non approfondire.

Nel ricorso in Cassazione è stato rappresentato come i giudici di secondo grado non abbiano correttamente inquadrato la diversa fattispecie giuridica che norma l’attività svolta dal professionista rispetto a quella svolta dall’imprenditore, non avendo tenuto conto del carattere personale delle prestazioni erogate (articolo 2233 cc), delle caratteristiche e delle misure del compenso percepito e del diverso rischio che grava sull’imprenditore rispetto al prestatore d’opera intellettuale.

La stessa Amministrazione finanziaria, inoltre, nella nuova pretesa impositiva (tassazione del reddito come se fosse stato prodotto da un imprenditore invece che da un libero professionista) non aveva mai contestato la presenza o meno delle succitate caratteristiche nell’esercizio della professione da parte del geometra e che dunque non avrebbe potuto qualificare il reddito prodotto come reddito di impresa.
La Ctr aveva considerato il reddito prodotto dal contribuente imputabile a reddito di impresa, perché l’attività svolta dal geometra si avvaleva di una consistente struttura autonomamente organizzata rispetto alla prestazione dell’opera intellettuale.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 13509 del 29 maggio, dichiarando l’inammissibilità del ricorso presentato dal professionista, ha ricordato che “la nozione tributaristica dell'esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacché l'art. 51 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 intende come tale l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall'art. 2195 cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell'impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l'attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorché non esclusiva”.

Infine, il Collegio ricorda che l’accertamento, ai fini delle imposte sui redditi, della riconducibilità della cessione di un bene all’esercizio di un’attività di commercio posta in essere nell’esercizio abituale e professionale di un’impresa, valutato in relazione alle concrete modalità e al contenuto oggettivo e soggettivo dell’atto, costituisce poi un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.


Fonte: Agenzia Entrate

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