L’assenza di autorizzazione all’accesso presso la residenza/studio del professionista non inficia la validità dell’atto impositivo, semmai pone un problema di legittimità per le sole parti dell’avviso che siano legate alla prima da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 29 maggio 2013, n. 13319.
I giudici di legittimità, nel richiamare il principio di conservazione degli atti giuridici, riconoscono la validità dell’accertamento anche in assenza di una preventiva autorizzazione all’accesso.

I vizi di un provvedimento presupposto, che si inserisce nella fase preliminare all’emissione dell’atto conclusivo, si riverberano sull’atto finale limitatamente a quelle parti che siano a esso legate da un forte nesso di dipendenza e consequenzialità, senza alcun pregiudizio per le parti indipendenti.
Il mancato rispetto di norme procedimentali sembra recedere di fronte alla primaria esigenza di conservazione dell’attività amministrativa, anche al fine di garantirne la continuità e l’efficacia in ossequio al principio di buona amministrazione, di cui all’articolo 97 della Carta costituzionale, sempre che non risulti leso il diritto di difesa del contribuente.

In tal senso milita la stessa giurisprudenza di legittimità: “il riscontro della mancanza materiale dell’autorizzazione produce l’illegittimità del risultato finale del procedimento solo quando si traduce in un concreto pregiudizio per il contribuente” (cfr Cassazione 16874/2009).
L’intento è quello di salvaguardare provvedimenti affetti da vizi di forma che non incidano sulla correttezza del contenuto sostanziale dell’atto, in linea con le novità introdotte dal legislatore (legge 15/2005) in materia di annullabilità del provvedimento amministrativo.

Iter giuridico
Il contenzioso in esame origina da un avviso di rettifica Iva emesso dall’ufficio sulla base di documentazione bancaria rinvenuta dalla Guardia di finanza a seguito di un accesso illegittimo (non autorizzato dal pm) avvenuto nello studio/abitazione di un professionista.

Il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Ctp di Roma, eccependo la nullità dell’atto impugnato per inutilizzabilità della documentazione acquisita in sede di accesso.
I giudici di primo grado accoglievano le doglianze della parte. Di contro, la Ctr del Lazio riteneva legittimo l’operato dei verificatori.

La Corte suprema, nel confermare la validità della pretesa, ha qualificato l’autorizzazione all’accesso domiciliare come un provvedimento amministrativo, i cui vizi si riverberano sull’atto conclusivo, determinandone l’invalidità “solo con riferimento a quelle parti che siano legate all’atto istruttorio da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità, mentre nessuna conseguenza comportano per quelle altre parti che siano del tutto distinte ed indipendenti” (cfr Cassazione 23595/2011).

Nel caso di specie, per altro, i verificatori hanno avuto cura di acquisire, successivamente, l’autorizzazione del comandante della Guardia di finanza relativa all’accesso della documentazione bancaria del contribuente ai sensi degli articoli 32, comma 1, n. 7, del Dpr 600/1973, e 51, comma 2, del Dpr 633/1972. Circostanza, questa, che confermerebbe la validità dell’atto impugnato, in quanto l’Amministrazione, con l’autorizzazione de qua, ha inteso sanare ex post l’illegittimità del proprio operato.

Osservazioni
In definitiva, l’inutilizzabilità della documentazione acquisita non comporta sempre la nullità dell’avviso di accertamento.
Il provvedimento impositivo potrà ritenersi illegittimo se si basi unicamente su documenti inutilizzabili.
Diverso il caso in cui sia lo stesso legislatore a comminare la nullità per l’inosservanza di determinate norme di carattere procedimentali. Si pensi all’avviso di accertamento antielusivo emanato in assenza di contraddittorio (articolo 37-bis del Dpr 600/1973).
A ciò, si aggiunga la considerazione che in ambito tributario non opera il principio di inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite, presente nel codice di procedura penale (cfr Cassazione nn. 8273/2003, 1543/2003 e 8344/2001).


Fonte: Agenzia Entrate

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