È legittimo l’avviso di accertamento, basato sugli di settore, che contiene la dimostrazione dell’applicabilità, nel caso concreto, dello “standard” prescelto dall’ufficio e fornisce le ragioni per cui ha disatteso le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio.
Inoltre, il contradittorio costituisce la fase del procedimento in cui è riconosciuto al contribuente di partecipare alla formazione dell’atto impositivo, con la più ampia facoltà di prova: tali elementi, unitamente a quelli forniti dall’ufficio, sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice.
Questi sono i principi desunti dalla sentenza della Cassazione, la n. 14492 del 7 giugno.

Il fatto
La vicenda riguarda un avviso di accertamento emesso per il recupero a tassazione ai fini Irpef, Iva e Irap di maggior ricavi non dichiarati, derivanti dallo scostamento dell’imponibile dichiarato rispetto a quello determinato dall’applicazione degli studi di settore.

L’atto impositivo, impugnato dal contribuente, era stato annullato sia dai giudici di primo grado sia da quelli d’appello.
In particolare, la Commissione tributaria regionale si era pronunciata evidenziando che l’avviso era basato esclusivamente sullo scostamento tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quelli scaturenti dall’applicazione dello specifico studio di settore: in questo modo si finiva per attribuire allo strumento la funzione di “presunzione iuris et de iure della fondatezza dell’accertamento stesso”.
Inoltre, nel corso del contraddittorio instaurato con l’ufficio, il contribuente avrebbe fornito le cause giustificative della discrasia del proprio dichiarato con il risultato degli studi di settore, fornendo al contempo tutta la documentazione contabile relativa all’anno d’imposta controllato, dal cui esame non risultava emersa alcuna irregolarità contabile.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, con il principale dei quali eccepiva il vizio di insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia.
A riguardo, l’ente impositore lamentava che il giudice di merito avesse deciso male, ritenendo ottemperato l’onere della prova sull’attendibilità dei redditi dichiarati, senza però fornire alcuna idonea motivazione di detto convincimento, anzi ignorando tutti gli elementi di presunzione forniti dall’ufficio per avvalorare la maggior pretesa erariale tra cui, ad esempio, la grave e particolare esiguità del reddito dichiarato rispetto alle esigenze di vita della famiglia del contribuente.
Condividendo i motivi in fatto e in diritto esposti dall’Agenzia delle Entrate, la Corte di cassazione ha deciso per l’accoglimento del ricorso e per la conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

La sentenza
Nel decidere sulla valenza degli avvisi di accertamento basati sull’applicazione degli studi di settore, i giudici di legittimità forniscono alcuni interessanti spunti e principi, mutuati da diverse pronunce della medesima Corte tra cui, per tutte, vale citare la sentenza n. 26635/2009.
In primo luogo, l’accertamento formatosi in base a tale procedura costituisce un sistema basato su presunzioni semplici che, in base all’articolo 2729 del codice civile, non sono stabilite dalla legge e la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito (cfr Corte costituzionale, sentenza n. 105/2003).
Infatti, gli studi di settore rappresentano soltanto degli indici rivelatori di una possibile anomalia fiscale, evidenziata dallo scostamento del quantum dichiarato dai contribuenti rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere la “normale redditività” dell’impresa: i requisiti di gravità, precisione e concordanza di tali presunzioni non sono determinati ex lege dal semplice scarto del reddito dichiarato rispetto a quello rideterminato, ma derivano solo “in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”.

Ancora una volta la Corte suprema torna a rimarcare la necessità del contraddittorio endoprocedimentale, quale elemento determinante per adeguare alla realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore.
In questa sede, nel pieno rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, questi ha “l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame”.
Al contempo, incombe sull’ente impositore l’obbligo di motivare adeguatamente l’avviso di accertamento basato sugli studi, evitando l’eventuale automatismo dell’accertamento derivante dal mero rilevo dello scostamento, essendo al contrario obbligato a integrare la motivazione dell’atto “con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto”, evidenziando anche le ragioni per cui sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
Dal canto suo, il giudice tributario può liberamente valutare tanto gli elementi riscontrati dall’Agenzia quanto la controprova offerta dal contribuente.

In sede processuale, il contribuente non è vincolato alle eccezioni addotte nel corso del procedimento amministrativo e può far ricorso anche a presunzioni semplici, “anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito ”.

Nel caso in esame, i giudici hanno applicato tali principi, riconoscendo in favore dell’Agenzia delle Entrate il rispetto di tutte le prescrizioni di legge, a conferma delle risultanze dell’indagine ricostruttiva standardizzata.
A parere dei giudici, infatti, l’avviso di accertamento impugnato risultava adeguatamente fondato su precisi e gravi dati fattuali, ignorati dai giudici di merito, il più importante dei quali è la constatazione dell’esiguità del reddito dichiarato dal contribuente, il cui ammontare è risultato incapiente addirittura per consentire di ottemperare alle esigenze di vita della propria famiglia.


Fonte: Agenzia Entrate

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