In materia di sanzioni amministrative tributarie, l’articolo 11 del Dlgs 472/1997 parifica la figura del legale rappresentante e amministratore di società all’amministratore di fatto, sancendo formalmente la diretta responsabilità anche di quest’ultimo: la massima è desumibile dalla sentenza della Cassazione n. 25809 del 12 giugno.

I fatti in causa
La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, sostituiva la pena detentiva irrogata a uno di due imputati e applicava le pene accessorie nei confronti di entrambi, per il reato di cui agli articoli 110 del codice penale e 10 del Dlgs 74/2000, per avere l’uno, in qualità di legale rappresentante, e l’altro, nella qualità di institore-amministratore di fatto, occultato i libri contabili.

Le eccezioni degli imputati
Proponevano ricorso per cassazione gli imputati, lamentando, il legale rappresentante, di non essersi mai occupato della gestione della società, contrariamente all’institore, e adducendo che la propria condotta non sarebbe censurabile neanche sotto il profilo dell’omesso controllo.
L’amministratore di fatto, invece, contestava il decisum della Corte territoriale, poiché non riteneva provata la sua qualità di reale gestore della società, fondata sulle sole “accuse” del rappresentante legale.

La pronuncia della Cassazione
I giudici supremi considerano i ricorsi manifestamente inammissibili.
In particolare, la posizione degli imputati – l’uno reale gestore della società, l’altro prestanome – confermava le loro responsabilità penali e tributarie.

I giudici, quindi, danno continuità all’orientamento secondo cui il reato previsto dall’articolo 5 del Dlgs 74/2000 (omessa dichiarazione ai fini delle imposte dirette o Iva) “è configurabile nei confronti dell’amministratore di diritto di una società e l’amministratore di fatto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40 comma 2 c.p. e 2932 c.c.), a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice” (cfr Cassazione, sentenza 23425/2011).

Prosegue la Corte, osservando come, in appello, era stato puntualizzato che il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando non vi è la nomina, ma anche in presenza di un prestanome, che non ha alcun potere nella gestione della società e, quindi, non è in condizione di presentare la dichiarazione, perché non dispone della contabilità, detenuta dall’amministratore di fatto.
In tale situazione, quindi, l’intraneo è colui che ha l’amministrazione di fatto della società, mentre al prestanome il fatto potrebbe essere addebitato a titolo di concorso, sussistendo l’elemento soggettivo.

Ciò posto, la Cassazione applica il descritto principio alla materia delle sanzioni amministrative tributarie. L’articolo 11 del Dlgs 472/1997, infatti, parifica il legale rappresentante all’amministratore di fatto, essendo entrambi direttamente responsabili.
Un’interpretazione diversa – inferiscono i supremi giudici – comporterebbe risultati iniqui, poiché rimarrebbero addebitate al solo prestanome tutte le omissioni civilmente o penalmente imputabili a colui che di fatto ha gestito la società, mentre rimarrebbe esente da ogni responsabilità colui che avrebbe il dovere e il potere di compiere l’azione omessa, nella specie la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Conclusioni
Secondo la dottrina, l’amministratore di fatto è colui che, non formalmente investito della carica, si ingerisce nell’amministrazione, ponendo in essere i poteri propri inerenti alla gestione della società. Egli è sovente il dominus della società, ma conferisce l’incarico formale dell’amministrazione a persone prive di un patrimonio adeguato a far fronte alle responsabilità eventuali (“teste di legno”).

Dunque, i caratteri “sintomatici” di tale figura sono:

assenza di investitura assembleare
attività esercitata continuativamente
esercizio di funzioni riservate agli amministratori di diritto
autonomia decisionale.

La giurisprudenza si è posta, da tempo, su un piano sostanzialistico in tema di responsabilità penale (da ultimo, Cassazione, sentenze 22181/2013 e 18696/2013), imputandola, difatti, al reale gestore della società.

Sul piano civilistico, invece, va dato conto di una originaria concezione restrittiva dell’istituto, che richiedeva una qualche investitura dell’amministratore di fatto, sia pure “irregolare o implicita” (cfr Cassazione, sentenze 234/1984 e 6514/1998). Successivamente, la prevalenza del dato sostanziale rispetto a quello formale è stata affermata anche dalla Cassazione civile (cfr Cassazione, sentenze 1925/1999 e 9795/1999), ritenendo ciò aderente a principi imprescindibili per una corretta amministrazione delle società.


Fonte: Agenzia Entrate

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