La Suprema corte continua nella sua opera di qualificazione degli atti impugnabili innanzi agli organi di giurisdizione tributaria in base al loro contenuto e non al nomen juris pure indicato nell’atto notificato al contribuente, essendosi ritenuto che il provvedimento sia emesso dall'autorità competente a decidere e presenti il carattere di definitività della pretesa impositiva ivi contenuta.
Infatti, è stato affermato dalla pronuncia in rassegna, conformemente alla giurisprudenza in materia (come più innanzi si avrà modo di indicare), l’esclusione di alcuna decisività all’elenco contenuto nell’articolo 19 della legge sul contenzioso tributario approvata con il Dlgs n. 546 del 1992, risultando rilevante il dato dell’idoneità dell’atto a portare a conoscenza del contribuente la relativa decisione dell'Amministrazione finanziaria. Tale conclusione rimane ferma, per la sentenza della Cassazione in commento, seppure il legislatore, come noto, abbia previsto all’ultimo comma che gli atti diversi da quelli indicati al primo comma non sono impugnabili autonomamente, che ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri e, infine, che la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo.

Tali caratteristiche sono state rinvenute dalla pronuncia della Corte regolatrice del diritto nel caso di specie, ove si trattava del recupero del credito d’imposta previsto dall’articolo 4 delle legge n. 449 del 1997 per le imprese che avessero mantenuto il livello occupazionale, situazione che nel caso di specie non si è verificata a causa della liquidazione dell’impresa, ossia di un atto dell’imprenditore da qualificarsi pur sempre volontario.
L’articolo 8 del Dm 3 agosto 1998, n. 311, prevede che il Centro di servizio delle imposte dirette e indirette di Pescara procede alla revoca totale o parziale del relativo credito d'imposta (anche sulla base delle segnalazioni effettuate a seguito dei controlli di cui all'articolo 7) quando non ricorrono i presupposti previsti dalla legge ivi indicati. Proprio a proposito di tale disciplina di favore, la giurisprudenza di legittimità ritiene, ad esempio, con la sentenza 15 giugno 2010, n. 14373, che neppure l’ufficio finanziario possa qualificare non impugnabili gli atti che lo sono, ogni volta che la comunicazione contiene la determinazione dell’esatta somma dovuta dal contribuente, indicando che in mancanza del suo pagamento seguirà l'iscrizione a ruolo e che per chiarimenti, richieste di sgravio o di rimborso il contribuente può rivolgersi all'ente impositore, in quanto elementi dai quali è stato ritenuto “ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte alla comunicazione di una pretesa impositiva”.

La ricerca della “volontà impositiva” dell’Amministrazione finanziaria potrebbe risultare difficile quando l’atto non viene qualificato dall’ufficio finanziario con le nomenclature previste dall’articolo 19 della citata legge processuale tributaria, ove – per tornare al caso di specie – la lettera h) ammette il ricorso avverso “il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari”. Invero ciò che lascia perplessi – ci permettiamo di rilevare – è che non risulta rispettato l’iter procedimentale previsto dal citato articolo 8, ultimo periodo, della parimenti citata legge del 1997, in quanto era stato lì disposto che il Centro di servizio di Pescara comunica all'impresa cui è stato concesso il credito d'imposta “l'avvio del procedimento di revoca del credito medesimo” con l'indicazione delle violazioni riscontrate, relativamente alle quali l'impresa interessata può fornire le proprie giustificazioni entro quindici giorni dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvio del procedimento stesso. Dalla lettura della sentenza pare desumersi che tale fase non vi sia stata, essendosi realizzato quanto previsto dal successivo secondo comma in forza del quale il recupero delle somme versate in meno relativamente ai periodi d'imposta di cui all'articolo 1, comma 1, o del maggior credito riportato, nonché l'applicazione delle sanzioni connesse alle singole violazioni sono effettuate dall'ufficio delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale dell'impresa entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui si è reso definitivo il provvedimento di revoca.

Sullo stato della questione della rilevanza del nomen juris si veda quanto affermato dalle sezioni unite della Cassazione nella sentenza 24 luglio 2007, n. 16293, in tema di notifica dell’avviso bonario. Infatti, i giudici di legittimità ebbero a statuire che, ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria, devono essere qualificati avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione finanziaria evidenzi una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori (o anche essere ammesso a qualche beneficio). Da ciò l’effetto tratto dalla Corte regolatrice del diritto nella cennata decisione emanata nella sua più autorevole composizione che tali avvisi bonari – a differenza delle comunicazioni di cui all’articolo 36-bis, comma 3, del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis, comma 3, del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633 – devono essere impugnati nel termine di sessanta giorni.


Fonte: Agenzia Entrate

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