Per la bancarotta fraudolenta documentale basta la mera consapevolezza di ledere il corretto mantenimento della garanzia per i creditori.
In questi termini la Cassazione, con la sentenza 4333 del 29 gennaio, ha chiarito che la natura dell’elemento soggettivo del reato è quella di dolo generico, pure declinabile nella forma del dolo eventuale.
In sostanza, per configurare l’elemento soggettivo del reato, non è richiesta necessariamente la finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita, bensì è sufficiente che l’autore del reato agisca con la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze.

I fatti in causa
L’amministratore unico di una società fallita, in concorso con i due amministratori di fatto, veniva chiamato in giudizio per bancarotta fraudolenta, ex articolo 216, regio decreto 267/1942.
Il rappresentante legale, infatti, un mese prima della messa in liquidazione dell’ente, aveva costituito un’altra società, avente lo stesso oggetto sociale della prima, e aveva distratto i beni sociali dalla prima per conferirli nella costituita. Egli, inoltre, aveva mantenuto (o comunque permesso di mantenere) la contabilità in maniera da rendere impossibile la ricostruzione dell’andamento gestionale dell’impresa.

Contro la sentenza penale di condanna per il reato di bancarotta fraudolente patrimoniale e documentale, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi di diritto, volti entrambi a escludere la propria responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo.

La pronuncia della Suprema corte
La Cassazione, nel rigettare la tesi del ricorrente, osserva che l’elemento soggettivo proprio del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (il quale punisce l’imprenditore fallito che, tra l’altro, ha tenuto i libri o le scritture contabili “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”) assume natura di dolo generico. Pertanto, per la configurazione del reato in questione, non è richiesta necessariamente una finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita.
E’, invece, sufficiente la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze, con ciò configurando la possibilità che la fattispecie possa essere integrata al solo ricorrere del dolo eventuale.

Di contro, precisa la Cassazione, nelle condotte soppressive della contabilità (la bancarotta fraudolenta documentale si configura, infatti, anche con le condotte di sottrazione o distruzione della contabilità), l’offensività del fatto è caratterizzata dal dolo specifico di ingiusto profitto o di lesione delle ragioni dei creditori, “potendo essere dette condotte realizzate con modalità ed a fini diversi”.

In sostanza, la connotazione del dolo, che si atteggia in modo diverso nelle due forme di bancarotta fraudolenta documentale descritte, non provoca una disparità di trattamento tra le due fattispecie ma rappresenta la conseguenza di due tipologie di condotte diverse, così come ricostruite dalla norma.

Conclusioni
Ciò che preme sottolineare è come la Cassazione concluda per la non incompatibilità della bancarotta fraudolenta documentale con l’elemento soggettivo del dolo eventuale. Quest’ultimo, secondo la dottrina penalistica dominante, si configura come “accettazione del rischio” di verificazione dell’evento e rappresenta l’ipotesi di “minore adesione” del reo al proposito criminoso (ossia, il reo non vuole l’evento ma accetta il rischio che dalla sua condotta derivi l’evento lesivo o pericoloso per il bene giuridico).

Dunque, il reato di bancarotta fraudolenta documentale si configura non già attraverso una mera irregolarità contabile, ma è in ogni caso necessario che l’imprenditore sia consapevole che dalla irregolare tenuta delle scrittura contabili derivi l’impossibilità di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società; in altre parole, non serve che il rappresentante legale (di fatto o di diritto) “voglia” necessariamente ottenere tale intento distorsivo, essendo sufficiente il momento rappresentativo (e non anche volitivo) per l’astratta configurazione del reato in esame.

Quale sia la differenza tra una semplice irregolarità e una condotta fraudolenta spetta al giudice del merito individuare, valutando il vulnus inferto dalla condotta del reo alla corretta ricostruzione delle operazioni commerciali e delle disponibilità patrimoniali della società, nell’ottica del corretto mantenimento della garanzia patrimoniale del ceto creditorio.


Fonte: Agenzia Entrate

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