In materia di imposta di registro dovuta per un contratto di locazione di un immobile non urbano, la base imponibile è costituita dal corrispettivo (canone) pattuito per l’intera durata del contratto (articolo 17, Dpr 131/1986), anche se le parti abbiano disposto di modulare il pagamento di una parte del canone sulla base del verificarsi o meno dell’evento dedotto nella condizione risolutiva apposta al contratto.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 21792 del 5 dicembre.

I fatti
Il 30 marzo 2000 due società hanno stipulato un contratto di locazione decennale (fino al 30 marzo 2010), concernente un terreno da adibire a discarica. All’atto è stata apposta la condizione risolutiva del “mancato rilascio dei provvedimenti autorizzatori e concessori per la realizzazione e l’esercizio della discarica nonché per l’attività di estrazione di inerti entro il 31 marzo 2003”.
Quanto al corrispettivo, le parti hanno stabilito il pagamento del canone nei seguenti termini: 77.469 euro (già 150 milioni di lire) per ciascuno dei primi due anni di locazione; 103.291 euro (già 200 milioni di lire) per il terzo anno, e 2.582.284 euro (già 5 miliari di lire) per il periodo residuo e dedotti gli importi corrisposti nei primi tre anni, sempre che non si sia verificata la condizione risolutiva.

Nonostante le società contraenti al momento della registrazione del contratto (articolo 35, del Dpr 131/1986) abbiano dichiarato un valore di 258.228 euro (già 500 milioni di lire), l’ufficio ha chiesto a entrambe un’imposta suppletiva di registro, ragguagliata al corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto (articolo 17 del Dpr 131/1986).
In tutti e due i gradi di merito, le contribuenti hanno visto annullare l’avviso di liquidazione. Le Commissioni tributarie, infatti, hanno reputato che il corrispettivo determinato nel contratto era variabile fra un minimo e un massimo e, di conseguenza, la fattispecie poteva essere disciplinata dall’articolo 35 del Dpr 131/1986.
Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate che, ritenendo invece applicabile l’articolo 17 dello stesso decreto, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 17 e 35 del Dpr 131/1986 e dei principi generali in materia d’imposta di registro.

La Corte ha accolto il ricorso, affermando che nella fattispecie sottoposta al suo esame “la misura del corrispettivo non necessita di ulteriore espressione di volontà delle parti contraenti e, per conseguenza, di ulteriore attività di accertamento o di liquidazione, giacché il contratto individua con chiarezza tutti gli elementi utili per la sua quantificazione”.

Osservazioni
La Cassazione è stata chiamata a stabilire se il canone di locazione possa ritenersi determinato solo per il valore dichiarato dal contribuente che chieda la registrazione del contratto ovvero sia già quantificato nella sua interezza al momento della stipula del contratto, nell’ipotesi in cui il le parti prevedano il pagamento dell’intera somma dilazionato nel decennio e, soprattutto, prevedano il versamento dell’ultima quota, dopo il terzo anno, solo se la condizione risolutiva non si è verificata.

A parere dei giudici di legittimità, il corrispettivo è stato determinato in sede di stipula del contratto. Di conseguenza, poiché l’articolo 35 del Dpr 131/1986 si riferisce all’ipotesi del contratto con corrispettivo indeterminato e “il corrispettivo si può definire non determinato soltanto allorquando esso sia suscettibile di ulteriore liquidazione o di accertamento tra le parti”, l’imposta di registro non va ragguagliata al valore dichiarato dalla parte che richiede la registrazione bensì al valore indicato nel contratto.

La Corte motiva le sue conclusioni con tre argomentazioni.
Innanzitutto, osserva che i precedenti di contratto a corrispettivo non determinato riguardano tradizionalmente gli appalti con la pubblica amministrazione, che quasi sempre prevedono un margine per la determinazione della somma in corso d’opera (Cassazione, sentenza 1001/1982).
Poi, analizza le caratteristiche proprie dell’istituto della condizione risolutiva, evidenziando che la stessa condizione non incide sul perfezionamento del contratto e, quindi, sulla definizione degli elementi di questo, ma soltanto sugli effetti del regolamento negoziale, ponendoli nel nulla, con effetto ex tunc (salve le prestazioni già eseguite, ex articolo 1360, comma 2, cc). A tale riguardo, la Corte precisa che nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, comunque, non risulta che la condizione si sia avverata.
Infine, la Cassazione afferma che la disciplina dei profili tributari del contratto di locazione di beni immobili trova sede nell’articolo 17 del Dpr 131/86, anche se il contratto è sottoposto a condizione risolutiva.

In particolare, i giudici di legittimità fondano la propria decisione:
su un’interpretazione sistematica del citato articolo 17. Il primo comma prescrive che l’imposta dovuta per la registrazione dei contratti di locazione e di affitto di immobili è liquidata dalle parti contraenti e assolta entro venti giorni (la fattispecie è antecedente all’entrata in vigore dell’articolo 68 della legge 342/2000, che ha elevato il termine da venti a trenta giorni), mediante versamento del relativo importo presso uno dei soggetti incaricati della riscossione. Proprio dal tenore della disposizione emerge che la liquidazione dell’imposta va ragguagliata all’importo complessivo riportato nel contratto, a prescindere dalla circostanza che si sia verificato o meno, nei venti giorni successivi alla stipula del contratto stesso, l’evento dedotto in condizione. Ciò in quanto l’imposta di registro colpisce l’atto ed è dovuta anche se questo è nullo o annullabile
sulle caratteristiche dell’imposta di registro che è una “tassa d’atto” (Cassazione, sentenza 24252/2011) e non di trasferimento. E ciò non solo per ragioni storiche, ma soprattutto perché se l’ufficio dovesse compiere per ogni atto un accertamento diretto ad acclararne l’effettiva produzione di effetti, il costo del tributo ne supererebbe di gran lunga il gettito, vanificandone la ragion d’essere
sulla disciplina generale del tributo, secondo cui l’evento della risoluzione è previsto dall’articolo 28 del Dpr 131/1986 “come ulteriore scaturigine di atti tassabili, in coerenza con la natura dell’imposta” (Cassazione, n. 21792/2012).
Del resto, la pronuncia è in linea con i principi elaborati dalla Corte in materia d’imposta di registro: quale imposta d’atto, va applicata per la potenzialità ed efficacia strumentale del negozio a produrre gli effetti che, secondo la legge, comportano il pagamento del tributo, a prescindere dalle successive vicende dell’atto tassato e dall’indagine sul rilievo pratico e sulla concreta attuazione delle sue clausole (Cassazione, sentenza n. 7370/2002).


Fonte: Agenzia Entrate

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