La Corte regolatrice del diritto ha affermato nella pronuncia 5 ottobre 2012, n. 16964, che l’articolo 17 del Dlgs 9 luglio 1997, n.241, nell’ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l’applicazione alle ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore.
Ne consegue che non possono essere opposti in compensazione da parte di un’associazione professionale i crediti tributari vantati da alcuni associati per precedenti periodi d’imposta, anteriormente al 2002, anno di applicazione della più ampia disciplina dettata dall’articolo 8 dello Statuto del contribuente, approvato con la legge n. 212 del 2000.

Come noto, l’articolo 17 del Dlgs n. 241 del 1997, contenente norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, al primo comma ha introdotto la compensazione per il versamento dei debiti e crediti tributari del contribuente relativamente ai tributi individuati nel secondo comma.
Il primo comma di tale articolo dispone, difatti, che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
La citata normativa aggiunge che la compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva, mentre, nel caso di specie, per il periodo d’imposta 1999, un’associazione professionale aveva opposto in dichiarazione i crediti vantati dai due associati relativi agli anni 1995 e 2001 e ceduti dalle rispettive persone fisiche.

La sentenza della Corte di cassazione in commento conferma l’operato dell’ufficio finanziario (invece disconosciuto dalla sentenza di secondo grado di revisione di quella di prima istanza), affermando che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa in deroga alle comuni disposizioni civilistiche soltanto nei casi espressamente previsti.
Difatti, i giudici di legittimità, hanno ritenuto non derogabile il principio per il quale ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso e ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge, non potendosi applicare al caso di specie la previsione contenuta nell’articolo 8, comma 8, dello Statuto dei diritti del contribuente, approvato con legge 27 luglio 2000, n. 212.
Come parimenti noto, l’articolo 8 citato - rubricato Tutela dell’integrità patrimoniale - ha disposto, al primo comma, che l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione, con l’effetto di estendere - secondo la pronuncia che si annota - i principi generali del codice civile in tema di estinzione dell’obbligazione per compensazione.

La mancata applicazione della disciplina dello Statuto del contribuente già dal 2000 viene desunta dall’operatività soltanto a decorrere dall’anno d’imposta 2002, cercando conforto nelle sentenze n. 4246 del 23 febbraio 2007 e n. 15123 del 30 giugno 2006) le quali ci appaiono, invero, incoferenti, in quanto nella prima (conforme alla precedente pronuncia 25 ottobre 2006, n. 22872, e alla successiva 26 febbraio 2010, n. 4743) si era affermato che, in tema di Iva, qualora il contribuente, nella dichiarazione annuale, abbia avanzato richiesta di rimborso dell’eccedenza detraibile, ai sensi dell’articolo 30 del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, la successiva detrazione in sede di dichiarazione mensile, anteriormente alla revoca della richiesta di rimborso, della medesima somma già oggetto di detta richiesta è illegittima e configura un omesso versamento di somme dovute all’erario.
Né diversa sorte tocca alla sentenza del Supremo collegio 30 giugno 2006, n. 15128 (conforme alla coeva decisione n. 15123 e alla successiva pronuncia 25 maggio 2007, n. 12262), per la quale, in materia di Iva, l’analitica regolamentazione della “solutio”, in ordine all’importo da pagare e alle poste creditorie detraibili, esprime - anche nel vigore dell’articolo 8, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in tema di compensazione dell’obbligazione tributaria – l’esercizio, da parte della legge speciale, della facoltà di derogare alle disposizioni codicistiche sull’estinzione del credito per compensazione.
Da ciò l’effetto desunto dai giudici di legittimità che il contribuente non può opporre in compensazione al credito dell’amministrazione finanziaria il proprio credito restitutorio gravante su quest’ultima.

Orbene l’affermazione della decisione in rassegna che la suddetta norma dello Statuto, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, risulta opinabile, mente corretta è che soltanto dal 2002 furono operative le disposizioni attuative che regolarono l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplata la compensazione “parziale” dal 1998.
In proposito, può segnalarsi che la sentenza della Suprema corte 4 aprile 2012, n. 5399 (conforme alla successiva sentenza 20 aprile 2012, n. 6253), aveva affermato che il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa “non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo” previsto dall’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr n. 322 del 1998, è circoscritto ai fini dell’utilizzabilità in compensazione dei crediti di importo risultante dalla correzione ex articolo 17 del Dlgs n. 241 del 1997, indicata nella successiva proposizione della citata disposizione.


Fonte: Agenzia Entrate

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