La Corte di cassazione, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha stabilito, con l’ordinanza 19220 del 7 novembre, che il fisco non è tenuto a rimborsare il contribuente per le maggiori imposte versate alla luce di nuovi documenti emersi dopo la chiusura dell’annualità mediante accertamento con adesione.

Il fatto
La controversia trae origine dall’impugnazione di un diniego di rimborso opposto dall’ente impositore al contribuente, in relazione a un accertamento con adesione, con il quale era stato definito un avviso di rettifica ai fini Irpef e Ilor. In particolare, in base a nuova documentazione attestante un minor debito con l’erario, il contribuente richiedeva indietro l’imposta versata in più, in seguito alla procedura di accertamento con adesione.

All’esito del giudizio della Commissione tributaria regionale, favorevole all’interessato, con il conseguente ricorso per cassazione, l’ente impositore contestava la decisione di merito, in primo luogo, per violazione di legge, in ragione della “irretrattabilità” dell’accertamento con adesione, e, in secondo luogo, per vizio di motivazione, con riguardo alla indimostrata novità dei documenti posti a base della domanda di rimborso.

Tanto premesso, il punto centrale della controversia consiste nello stabilire se, una volta che l’accertamento sia stato definito con adesione, mediante il procedimento dettato dal Dlgs 218/1997, e la definizione si sia perfezionata con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’articolo 9 (secondo cui la definizione si perfeziona con l’intero versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata accompagnata da contestuale fideiussione, come previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo 8), il contribuente conservi la facoltà di proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, versato in eccesso a seguito di errore. Fatto che avrebbe viziato (ex articolo 1427 codice civile) la volontà manifestata con l’istanza di adesione e con la successiva sottoscrizione dell’atto (di natura negoziale).

La decisione
Con l’ordinanza 19220/2012, la Corte di cassazione accoglie il motivo principale del ricorso, statuendo - inversamente alla decisione impugnata - che il fisco non è tenuto a rimborsare il contribuente per le maggiori imposte versate alla luce di nuovi documenti emersi dopo l’accertamento con adesione. In tal modo, la Corte suprema ha dato soluzione negativa al quesito sopra prospettato.
È, infatti, sufficiente rilevare al riguardo che, ai sensi degli articoli 2, comma 3 (per le imposte sui redditi e sull’Iva), e 3, comma 4 (per le altre imposte indirette), del Dlgs 218/1997, “l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio” (fatto salvo, limitatamente alle imposte sui redditi e all’Iva, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice da parte dell’ufficio nelle ipotesi indicate nel comma 4 della stessa disposizione).

Pertanto, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che perfezionare l’accordo, versando quanto da esso risulta, essendo normativamente esclusa la possibilità di impugnare simile accordo e, a rigore, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata “perfezionata” la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato (cfr Cassazione, pronuncia 18962/2005).

Il fatto che avverso l’accertamento definito con adesione - istituto deflattivo del contenzioso - sia preclusa l’impugnazione (s’intende per qualsiasi causa) non può che comportare l’ovvia conseguenza dell’improponibilità di istanze di rimborso di quanto versato a perfezionamento dell’accordo, le quali non costituirebbero altro che una surrettizia forma di impugnazione dell’accordo raggiunto. Un’intesa che deve ritenersi intangibile, in conformità alla ratio dell’istituto, connotata, a fronte dell’effetto premiale per il contribuente, dall’interesse pubblico all’immediata acquisizione delle somme risultanti dall’accordo, le quali, una volta versate, non possono più essere messe in discussione attraverso richieste di rimborso (cfr Cassazione, sentenza 20732/2010).

In base a tali considerazioni e in conformità ai principi generali del diritto, devono ritenersi erronee le affermazioni circa la possibilità di “rinuncia” o di “ripensamento” del contribuente dopo la definizione del contesto mediante adesione, o circa la pretesa irrilevanza del fatto che le parti avessero raggiunto un accordo.
In realtà, le norme esaminate non autorizzano affatto simili rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell’accordo, e non ne prevedono la revocabilità; anzi ne sanciscono espressamente l’immodificabilità (articolo 2, comma 3, e articolo 3, comma 4, Dlgs 218/1997); mentre il successivo inadempimento, nei termini e con le modalità stabilite dall’articolo 8, giustificherebbe l’adozione dei normali mezzi di coercizione, e non potrebbe mettere nel nulla l’accordo in mancanza di una specifica disposizione in tal senso (Cassazione, pronuncia 10086/2009).


Fonte: Agenzia Entrate

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