La pronuncia della Corte trae origine da una controversia sorta nell’ambito dell’ordinamento giuridico lettone tra un soggetto passivo Iva e l’Amministrazione finanziaria in merito al rifiuto di quest’ultima di rimborsare l’eccedenza di Iva detraibile. Il rifiuto si fondava sulla normativa nazionale che consentiva all’Amministrazione finanziaria di posticipare il rimborso dell’eccedenza di Iva detraibile maturata nel corso del periodo d’imposta (di durata pari a un mese) per la parte che superava il 18% del valore complessivo delle operazioni imponibili effettuate nei periodi d’imposta mensili.
In altri termini, secondo la normativa lettone, tutte le volte che nel corso di un periodo d’imposta l’imposta versata all’erario da un soggetto passivo risultava nettamente inferiore a quella cui lo stesso ha diritto al rimborso, tale rimborso era posticipato fino a che l’Amministrazione finanziaria non avesse esaminato la dichiarazione Iva annuale riassuntiva. Ciò, in un’ ottica di prevenzione del rischio di fenomeni di evasione o elusione.
La normativa nazionale diventava oggetto di questione pregiudiziale sollevata dalla Suprema Corte lettone per verificarne la compatibilità con il diritto dell’Unione europea in materia di Iva.

La pronuncia della Corte
La Corte assume come presupposto le modalità con cui il diritto nazionale lettone è stato applicato dall’Amministrazione tributaria lettone. Tali modalità, accertate dal giudice nazionale, consistevano in un’applicazione preventiva e generalizzata della proroga del rimborso dell’eccedenza di Iva detraibile, in base a un mero calcolo aritmetico, per la parte della predetta eccedenza detraibile che superava il 18 per cento del valore complessivo delle operazioni imponibili effettuate nel periodo d’imposta considerato.
Secondo la Corte di Giustizia, la predetta applicazione della normativa nazionale Lettone eccede l’ambito di autonomia che l’articolo 183 della direttiva comunitaria Iva riserva agli Stati membri sulle modalità di rimborso dell’Iva.
Le modalità lettone, in particolare, determinavano una lesione dei principi di neutralità fiscale secondo cui l’Iva, quale imposta generale sul consumo, non deve gravare sul soggetto passivo dell’imposta ma è destinata a gravare unicamente sul consumatore finale. Ciò, in quanto la normativa nazionale lettone non consentiva al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate ed entro un termine ragionevole, il rimorso dell’eccedenza di Iva detraibile, senza alcun rischio finanziario. Il soggetto passivo, invero, avrebbe potuto ottenere il rimborso integrale dell’Iva a distanza di oltre un anno dal periodo d’imposta nel quale era sorto il relativo diritto.

L’uso dell’automatismo
Interpretando il non detto della Corte, l’irragionevolezza del termine previsto dalla normativa nazionale lettone per l’erogazione del rimborso deriva dal fatto che la proroga (automatica) andava al  di  là  di  quanto  fosse necessario ai fini del controllo sulla spettanza dello stesso scongiurando il rischio di frodi. Ciò trova conferma, del resto, nella stessa giurisprudenza  della  Corte  di  Giustizia secondo cui  un  termine  non  perde  il  carattere  di ragionevolezza se prorogato per consentire  l’effettuazione  di  una verifica fiscale. A condizione che la proroga non vada  al  di  là  di  quanto  sia necessario ai fini della proficua conclusione del procedimento di verifica (Cfr sent. 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska, punti 27 e 28).
Sotto altro profilo la Corte di giustizia, inoltre, censura la normativa nazionale lettone in relazione al principio di proporzionalità, immanente nell’ordinamento comunitario. Secondo tale principio gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere l’obiettivo di lotta contro ogni possibile evasione, pregiudichino il meno possibile i principi stabiliti dalla normativa dell’Unione, quale è il principio fondamentale del diritto alla detrazione dell’Iva.

Le conclusioni degli eurogiudici
In particolare, a giudizio della Corte, la “sproporzionalità” della normativa nazionale lettone risulta dalla circostanza che era applicata dalla Amministrazione tributaria, senza procedere ad alcuna verifica specifica del caso di specie nell’ambito della quale il soggetto passivo interessato potesse dimostrare l’assenza del rischio di evasione o di elusione.
I principi affermati con la sentenza precisa, infine, la Corte, trovano immediata applicazione non sussistendo ragioni di gravi ripercussioni economiche né quei presupposti di buona fede tali da limitare, nel tempo, gli effetti della sentenza alle sole fattispecie successive alla sua pronuncia.


Fonte: Agenzia Entrate

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