In caso di accertamento, l’attivazione della procedura di rateazione delle somme dovute, prevista dall’articolo 3-bis del Dlgs 462/1997, non è sufficiente a impedire un provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni del contribuente accertato, ma può legittimare soltanto una richiesta di riduzione della somma sequestrata in funzione dell’importo già versato.
Questo l’interessante principio espresso dalla terza sezione penale della Cassazione nella sentenza 33587 del 31 agosto.

Il giudizio di merito
Un contribuente, indagato per il reato di omesso versamento Iva (articolo 10-ter del Dlgs 74/2000), anno di imposta 2009, per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma, propone ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale che, nel confermare il provvedimento del Gip, aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro preventivo – finalizzato alla confisca per equivalente – disposta su somme di denaro nella diretta disponibilità dello stesso.

La richiesta di revoca si fondava sul presupposto che il mancato versamento dell’imposta dovuta era stata determinata da una provvisoria situazione di difficoltà economica dell’azienda, avallata anche dall’Amministrazione finanziaria, che aveva aderito alla richiesta di rateazione avanzata dal ricorrente, ai sensi dell’articolo 3-bis del Dlgs 462/1997 e corredata da garanzia fideiussoria a copertura di quanto dovuto. Peraltro, il contribuente aveva già provveduto a versare le prime due rate oggetto dell’accordo.

Il Tribunale, nel respingere l’appello, riteneva che il pagamento di solo due rate del piano di ammortamento e il rilascio della polizza fideiussoria non potevano essere considerati equivalenti alla effettiva e definitiva estinzione del debito tributario (evento che renderebbe illegittimo il sequestro).

In sede di legittimità, il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 322-ter del codice penale (che disciplina la confisca per equivalente anche in campo tributario), nonché dell’articolo 3-bis del decreto legislativo 462/1997.
In particolare, il contribuente ritiene che la concessione della rateazione delle somme dovute a seguito di controlli formali e automatici, prevista e disciplinata dal richiamato articolo 3-bis, sia ostativa alla confisca per equivalente.
Lamenta, inoltre, la violazione dell’articolo 319 del codice di procedura penale, che dispone la non applicazione del sequestro conservativo in presenza di idonea garanzia fideiussoria prestata dal debitore, nonché l’illegittimità del provvedimento di sequestro in quanto, poiché il procedimento penale è destinato a concludersi prima dell’estinzione totale del debito tributario – secondo il piano rateale approvato dall’ente creditore – la mancata rilevanza attribuita alla fideiussione darebbe luogo a una illegittima duplicazione sanzionatoria (ossia, confisca e fideiussione).

Le motivazioni della Corte Suprema
La Cassazione rigetta il ricorso, con argomentazioni puntuali e condivisibili, tuttavia, riconosce al ricorrente il diritto di ottenere la riduzione della somma sequestrata in relazione agli importi dallo stesso ratealmente versati.

In generale, i giudici di legittimità ricordano che il sequestro disposto nei confronti di un soggetto indagato per reati tributari non può riguardare beni di importo superiore al profitto del reato per cui si procede, in quanto la ratio della confisca è quella di colpire l’accrescimento patrimoniale frutto dell’illecito e non una parte del patrimonio in quanto tale (Cassazione, sentenze 1893 e 45054 del 2011).
Al riguardo, precisa ancora la Corte, è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 322-ter cp e 1, comma 143, della legge 244/2007, nella parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal Dlgs 74/2000, contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria, con gli articoli 23 e 25 della Costituzione, in quanto la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria (Cassazione, sentenza 10120/2010).

In sostanza, lo scopo del sequestro non può che essere quello di colpire l’accrescimento patrimoniale nei casi in cui non sia possibile procedere direttamente nei confronti dei beni che rappresentano il profitto del reato e, nel caso di specie, tale profitto non può che coincidere con l’importo dell’Iva non versata.
Da quanto detto, ne discende, secondo l’interpretazione della Corte, che “…le ragioni del sequestro possano venir meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato…”, prima di allora “…il sequestro rimane legittimo, ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati”.

In altri termini, il mero accordo con l’Amministrazione finanziaria non è sufficiente – seppur seguito dal pagamento di alcune rate – ad escludere il provvedimento di sequestro, mancando l’estinzione dell’obbligazione tributaria, semmai, “…potrà giustificare la richiesta di revoca parziale per un valore corrispondente al versato dovendosi escludere la possibilità di confisca per il valore restituito”.
Del pari, conclude la Corte, non si condivide l’assimilazione della garanzia fideiussoria prestata alla disciplina del sequestro conservativo (articolo 316 codice penale, per il quale invece rilevano espressamente le garanzie fideiussorie prestate).
Infatti, mentre quest’ultimo istituto ha lo scopo di evitare che la res pericolosa, una volta lasciata nella disponibilità del reo, possa costituire un incentivo a commettere ulteriori azioni criminose, il sequestro per equivalente, invece, è finalizzato ad impedire che il reo continui a usufruire di quello che è stato il profitto del reato stesso.La garanzia fideiussoria, di fatto, attribuisce all’autore del reato la libertà di disporre del profitto ricavato dalla condotta criminosa – in violazione della ratio normativa – atteso che lascia “…il patrimonio dell’imputato invariato in quanto ad essere sottoposto a sequestro sostanzialmente finirebbe denaro del garante che, quindi, non è nella diretta disponibilità dell’imputato bensì del terzo”.


Fonte: Agenzia Entrate

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