È legittimo l’accertamento del reddito complessivo netto, determinato in via sintetica dall’ufficio, in relazione all’acquisto, da parte del contribuente, di un grosso immobile quale indice di una maggior capacità contributiva.
Incombendo sul contribuente l’onere di provare l’inesistenza della pretesa erariale, non si ritiene superata la prova contraria semplicemente sostenendo che la provvista necessaria all’acquisto era stata fornita principalmente dal genitore, se la donazione è stata compiuta senza atto pubblico e non esiste alcun altra documentazione idonea a comprovare l’atto di liberalità.
Questi i principi contenuti nell’ordinanza 14896/2012.

Il fatto
A un contribuente era stato notificato un avviso di accertamento, relativo alla determinazione del reddito complessivo netto ai fini Irpef con il metodo sintetico, per un incremento patrimoniale consistente nell’acquisto di un costoso immobile.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità dell’atto impositivo.
I giudici di secondo grado motivavano la propria decisione ritenendo fondati gli elementi probatori forniti dall’Amministrazione finanziaria.
Di contro, ritenevano tutti i dati e le informazioni forniti dalla parte non idonei a superare l’onere della prova su di questi soccombente.
A parere dei giudici, infatti, non era sufficiente sostenere che la provvista necessaria all’acquisto era stata fornita dal proprio genitore, giacché la donazione era stata effettuata senza atto pubblico e difettava di documentazione probatoria.
Parimenti insufficiente è apparsa la dichiarazione che il denaro proveniva da una vendita precedente e dalla cessione di un ramo d’azienda, poiché tale operazione era avvenuta in epoca di molto successiva alla compravendita immobiliare.

Il contribuente proponeva ricorso per Cassazione deducendo falsa applicazione delle norme di legge. Secondo lui, il giudice d’appello aveva ritenuto privo di prova l’assunto dell’appellante, nonostante esso fosse stato fornito presuntivamente e, pertanto, il risultato sintetico induttivo era risultato privo di riscontro.
La corte di Cassazione, ritenendo infondati i motivi di doglianza proposti dal contribuente, procedeva al rigetto del ricorso dichiarando conseguentemente legittimo l’avviso di accertamento.

La decisione
Il tema posto all’attenzione dei giudici della Corte suprema riguarda la legittimità dell’accertamento “sintetico” previsto dall’articolo 38, quarto comma del Dpr 600/1973.
La metodologia in argomento consente agli uffici finanziari di determinare il reddito complessivo netto di una persona fisica riguardo al contenuto induttivo di elementi e circostanze certi, i cosiddetti “indicatori di capacità contributiva”.
Tale modalità di accertamento si basa sul presupposto logico secondo cui il sostenimento di una spesa è indice dell’esistenza di un reddito, perlomeno sufficiente, a sostenere la spesa stessa, indipendentemente dall’individuazione della fonte effettiva di produzione.
Nel caso in esame, l’indicatore di capacità contributiva è costituito dalle spese per incremento patrimoniale derivanti dalla compravendita di un consistente bene immobiliare.
Il ricorrente lamentava che il metodo sintetico induttivo adottato dall’ufficio finanziario era privo di riscontro, poiché, nel corso del giudizio, era stata fornita la prova dell’inesistenza della maggior capacità contributiva rispetto a quella dichiarata, seppur in via presuntiva.

Dichiarando infondato il motivo di ricorso, la Cassazione ha precisato che, in tema di accertamento sintetico, è consentito determinare, a fronte di elementi e di circostanze certi che implichino un reddito complessivo netto superiore a quello dichiarato o quantificabile in via analitica, il maggior reddito imponibile in maniera sintetica, “in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze.”
Dalla lettera della norma si evince che, qualora si ravvisino “dati certi” comprovanti l’esistenza di un maggior reddito imponibile, l’entità dello stesso è individuata “con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante a quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale”.
In altre parole, la Corte di legittimità sostiene che all’Amministrazione finanziaria, che intenda esperire un accertamento con il metodo sintetico, compete unicamente il rispetto di tutte le condizioni previste dal comma quarto dell’articolo 38 del Dpr 600/1973.

L’acquisto di un grosso immobile costituisce, pertanto, un fatto certo e incontestato.
Inoltre, se tale operazione evidenzia l’esistenza di un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato dal contribuente (o ricostruibile analiticamente dall’ufficio), “non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, poiché esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione” (cfr Cassazione, sentenze 327/2006 e 10350/2003).

La fonte normativa di tale principio è ravvisabile nell’articolo. 3, secondo comma della legge 241/1990 (la legge sul procedimento amministrativo) secondo cui gli atti normativi e a contenuto generale, a differenza di quelli amministrativi, non necessitano di motivazione.
Tale impostazione, d’altronde, non lede i diritti del contribuente poiché questi può dimostrare che il reddito presunto sulla base del “redditometro” non esiste o esiste in misura inferiore.
Sul punto, la Corte di cassazione ha considerato non adeguatamente assolto l’onere della prova incombente sul soggetto accertato.
Infatti, la donazione di denaro posta a giustificazione dell’esborso finanziario, evento prodromico alla contestazione dell’ufficio, non soltanto era nulla, perché non compiuta con atto pubblico, ma era altresì priva di qualsiasi documentazione giustificativa.


Fonte: Agenzia Entrate

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