La sentenza passata in giudicato in materia di Iva e relativa a operazioni soggettivamente inesistenti non fa stato in materia di imposte sui redditi. Così ribadisce la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14058 del 3 agosto scorso, precisando alcuni importanti principi sulla “capacità espansiva del giudicato” e sulle necessarie condizioni.

La vicenda
La Guardia di Finanza emetteva nei confronti di una società di persone un processo verbale di constatazione dal quale emergevano rilievi ai fini Iva e Ilor relativi all’anno di imposta 1987, recepiti in separati avvisi di accertamento, oggetto di distinte impugnazioni.
Per l’Ilor, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società un atto contente il recupero di componenti negativi relativi ad acquisti per operazioni soggettivamente inesistenti, nonché un maggior imponibile determinato da omessa fatturazione. Conseguentemente veniva rettificato anche il reddito da partecipazione dei due soci.
Società e soci ottenevano, in entrambi i gradi di merito, l’accoglimento del ricorso, limitatamente al solo recupero di ricavi.

Nelle more del termine per l’impugnazione della sentenza di secondo grado, passava in giudicato un’altra sentenza della Ctr, che decideva sull’avviso di accertamento ai fini Iva, annullandone il recupero.
La società e uno dei due soci ricorrevano, quindi, in Cassazione sostenendo che:
il giudicato relativo al giudizio Iva coprirebbe l’accertamento sull’esistenza ed effettività delle operazioni di acquisto
tale giudicato esplicherebbe i suoi effetti anche nei confronti dei soci, per essere il reddito di partecipazione dipendente da quello societario.

La decisione e i precedenti conformi
Le censure mosse dai ricorrenti vengono sterilizzate dalla Corte di cassazione che precisa a chiare lettere che la detraibilità dell’Iva può essere risolta secondo criteri di fatto diversi da quelli riguardanti la deducibilità dei costi in materia di imposte sui redditi. Pertanto, qualora vi siano due avvisi di accertamento, fondati sull’inesistenza soggettiva di operazioni commerciali ed emessi l’uno ai fini Iva e l’altro per il recupero delle imposte sui redditi, la sentenza pronunciata in uno dei giudizi non può spiegare effetto anche sull’altro.

Alla radice della questione – affrontata anche in modo simmetricamente inverso (capacità espansiva del giudicato relativo alle imposte dirette in materia di Iva) e risolta in modo conforme (Cassazione, sentenze nn. 25200/2009 e 15396/2008) – vi sarebbe la diversità oggettiva e soggettiva del fondamento delle differenti imposte.
Per la Cassazione occorre, infatti, che il rapporto giuridico dedotto nei giudizi sia unitario.

Punto di partenza la sentenza delle sezioni unite, la n. 13916/2006, seguita da numerose altre pronunce sostanzialmente conformi, rese in materia di presupposti impositivi relativi a diverse annualità di imposta, nelle quali viene affermata la necessità:
“…a - che "due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico";
b - che "uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato";
c - che sussista "un punto fondamentale comune ad entrambe le cause", formante "la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza" definitiva, sicchè ne risulti precluso il riesame nell'altra causa…” (Cassazione, sentenza n. 25200/2009).

Di conseguenza, in difetto dell’unitarietà del rapporto giuridico, non è possibile l’estensione del giudicato ancorché la seconda lite richieda accertamenti di fatto già avvenuti nella prima, poiché l’efficacia oggettiva del giudicato non può investire singole questioni di fatto o diritto (Cassazione, sentenza n. 2594/2010).
Non osta, invece, all’estensione del giudicato la diversità degli atti impugnati nei giudizi, ad esempio, avviso di accertamento e cartella, sempre che l’oggetto dei giudizi sia il medesimo (Cassazione, sentenza n. 19310/2011).

Non va, ancora, sottaciuto che ben vi possono essere elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e, su questi, il giudicato relativo a un anno di imposta può far stato in quelli antecedenti o successivi. Il riferimento va, in particolare, a quegli “elementi preliminari” per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria, cioè alle qualificazioni giuridiche che il legislatore ha definito per il trattamento tributario (quali, ad esempio, la natura di ente commerciale, la qualità di soggetto residente, la natura di bene di interesse storico-artistico, la categoria e la rendita catastale, la spettanza di un’esenzione o di un’agevolazione pluriennale), restando inderogabilmente escluse la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti (Cassazione 13897/2008 e ss.uu. 13916/2006).


Fonte: Agenzia Entrate

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