Legittimo il sequestro finalizzato alla confisca, disposto dalla procura della Repubblica per tardivo versamento dell'Iva, anche se il contribuente ha concordato con l'Amministrazione finanziaria il pagamento in forma rateale. La dilazione delle somme, infatti, non comporta l'estinzione del reato di omesso versamento dell'imposta.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 30140 del 24 luglio.

Il fatto
La vicenda processuale concerne il rappresentante legale di una società che era stato imputato del delitto di tardivo versamento dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dall'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, di importo superiore alla soglia di punibilità (50mila euro). Nel frattempo, il contribuente era stato ammesso al pagamento rateale della somma, prestando apposita garanzia fideiussoria. Ciò nonostante, la procura della Repubblica ha disposto egualmente il sequestro, finalizzato all'eventuale confisca, per una somma pari all'importo contestato.

Il ricorso al Gip ha avuto esito favorevole per l'imputato, che si è visto revocare parzialmente il provvedimento cautelare, proprio in virtù della copertura assicurativa dell'importo evaso, nonché per il fatto che il profitto conseguito dalla parte non era identificabile con un omesso versamento dell'imposta ma semplicemente con il tardivo adempimento dell'obbligo.

Il successivo appello del Pm veniva accolto dal tribunale del riesame, che disponeva nuovamente il sequestro preventivo dei beni mobili e immobili dell'imputato, in base alle seguenti rigorose ragioni:
l'intervenuto pagamento dell'imposta evasa costituisce soltanto circostanza attenuante che non fa venire meno la responsabilità penale per il reato commesso
nella determinazione del quantum confiscabile occorre prescindere dalla regolarizzazione del debito in sede tributaria
in caso di tardivo pagamento dell'imposta, la transazione con l'ente impositore, in sede tributaria, estingue l'obbligazione, ma in ambito penale configura solo la speciale circostanza attenuante delle sanzioni prevista dall'articolo 13 del Dlgs 74/2000.
L'ordinanza d'appello veniva impugnata per cassazione, nei cui motivi l'indagato insisteva sulla tardività del pagamento di imposta regolarmente dichiarata e che, quindi, la remissione in termini da parte dell'Amministrazione finanziaria per la soluzione in forma dilazionata delle somme garantite, pur non facendo venire meno il reato, escludeva comunque qualsiasi profitto del contribuente.

La decisione
Con la sentenza 30140/2012, la terza sezione penale respinge il ricorso, affermando il principio che, in caso di tardivo versamento Iva, il reato sussiste anche se successivamente il contribuente inizia a pagare il proprio debito a rate.
Sicché, l'articolata difesa dell'imprenditore nulla ha potuto contro l'ordinanza impugnata, considerata dal giudice superiore scevra da qualsivoglia vizio procedurale o di valutazione. Infatti, ad avviso della Corte suprema, non vi è alcun dubbio sul fatto che la restituzione all'Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo perseguito con la confisca. Inoltre, l'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 è strumentale all'obiettivo di reprimere i fenomeni di evasione in sede di riscossione, sanzionando il comportamento di colui che omette di versare l'Iva a debito in sede di dichiarazione annuale e assimila l'omissione, sotto il profilo sanzionatorio, a quella del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta.
Pertanto, fino al completamento del pagamento rateale concordato, rimane legittimo il sequestro, ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati.

Non può ritenersi, invece, sufficiente a evitare il sequestro il mero accordo con l'Amministrazione finanziaria, seppure seguito dal pagamento di alcune rate e finché il versamento non sarà completato il destinatario del provvedimento di sequestro continua ad avere la disponibilità, ancorché parziale, del profitto del reato.

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che le somme di denaro costituenti oggetto del vincolo cautelare non sono suscettibili di sostituzione attraverso una fideiussione da costituire presso una banca, "trattandosi di una garanzia personale di pagamento non equipollente rispetto al bene in sequestro" (Cassazione 36095/2009). Non solo. La fideiussione, ad avviso del collegio giudicante, contrasta "ontologicamente" con la ratio della misura cautelare in questione, che è quella di evitare che il responsabile del reato possa trarre beneficio dall'attività illecita perpetrata, imponendo una diminuzione patrimoniale corrispondente al profitto. Finalità che non può essere in nessun caso raggiunta - conclude la motivazione della sentenza - "spostando l'obbligazione sul terzo".
In definitiva, lo scopo del sequestro per equivalente in funzione della successiva confisca non può che essere quello di colpire - senza deroghe - l'accrescimento patrimoniale nei casi in cui non sia possibile apprendere direttamente i beni che rappresentano il profitto del reato (Cassazione, sentenza 10120/2010, 1893//2011 e 45054/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top