Con la sentenza 27269 del 10 luglio, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha stabilito che, nonostante l’adesione al condono, di cui alla legge 289/2002, resta punibile la relativa dichiarazione fraudolenta conseguente all’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando la relativa evasione d’imposta risulta superiore alle previste “franchigie”.

Il fatto
Un imprenditore, che aveva inserito in contabilità elementi passivi fittizi, era stato ritenuto colpevole di concorso nel reato di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, per presentazione di dichiarazione Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Il giudice d’appello confermava la condanna subita in primo grado, nei cui confronti l’imputato si opponeva in Cassazione eccependo, da un lato, che le somme esposte sulle fatture imputate di fittizietà sarebbero invece veritiere, atteso che la mancata contabilizzazione delle stesse da parte dell’emittente non è per nulla addebitabile alla società che egli rappresenta e che, tutt’al più, i sottostanti lavori si riferirebbero a terzi che li avrebbero svolti “in nero”. Dall’altro, eccepiva violazione delle disposizioni in tema di condono fiscale del 2002 – presentato sia ai sensi dell’articolo 9 (definizione automatica per gli anni pregressi) per le imposte sui redditi sia ai sensi dell’articolo 8 (integrazione degli imponibili per gli anni pregressi) per l’Iva – dal momento che il perfezionamento di tale sanatoria avrebbe dovuto condurre all’esclusione della punibilità del reato contestato.

La decisione
La Corte suprema dichiara inammissibile il ricorso dell’indagato, considerato che il reato di frode fiscale per uso di fatture false non cade se con la dichiarazione integrativa presentata dal contribuente non è stata coperta l’intera somma evasa, aumentata della franchigia del 50 per cento.
Infatti, quanto al rilievo difensivo secondo cui il reato di frode fiscale non sarebbe applicabile all’imputato per avere questi presentato istanze di condono (articoli 8 e 9, legge 289/2002), ormai perfezionato, la Corte di legittimità ribatte che, per l’integrativa semplice di cui all’articolo 8, comma 6, in particolare, gli effetti preclusivi anche penali si producono per ciascuna annualità limitatamente ai maggiori imponibili, alla maggiore imposta sul valore aggiunto ovvero alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati della cosiddetta "franchigia" (“l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli artt. 2, (…) del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74”). Nel caso concreto, invece, l’integrazione non era avvenuta per l’intera copertura dell’evasione, per cui, non operando la franchigia, non potevano neppure verificarsi gli effetti ostativi indicati dalla norma (cfr Cassazione, sentenze 34871/2010 e 1894/2012).

Diversamente opinando – spiega la Corte – si giungerebbe a estendere a dismisura l’ambito di applicazione delle cause di non punibilità previste dalla normativa del 2002, accentuando ulteriormente il contrasto con il diritto comunitario (come rilevato dalla Corte di giustizia nella sentenza causa C-132/06 del 2008).

Il tutto, dopo che la Cassazione ha convalidato l’operato del giudice del riesame per avere tratto dal complessivo esame degli elementi acquisiti al processo le seguenti incontrovertibili determinazioni:
che la società emittente le fatture non aveva mezzi sufficienti per il compimento dei lavori, non aveva riportato in contabilità i relativi costi e non disponeva di personale dipendente
che la tesi secondo cui l’emittente sarebbe stata una mera intermediaria è smentita dal fatto che l'unica ditta con la quale la società aveva avuto rapporti nell'anno in contestazione era un soggetto praticamente inattivo, privo di sede, personale e mezzi
che dalla contabilità dell’emittente le fatture risultava che la società gestita dall'imputato aveva corrisposto in pagamento una somma di poco superiore al 10% dell'importo delle fatture stesse
che la documentazione in atti faceva emergere che l'asserito pagamento dell'intero sarebbe giustificato solo sotto un profilo contabile, non essendovi prova dell'effettività di tale pagamento
che l'imputato non ha provato, ex articolo 2697 del codice civile, che i lavori oggetto delle fatture siano stati realmente svolti.
E’ da aggiungere, infine, che con la concomitante sentenza n. 27392, la stessa sezione penale ha stabilito che il reato di dichiarazione fraudolenta si configura non solo quando il contribuente usa fatture false ma anche quando, per ottenere l’indebito vantaggio fiscale, usa qualunque altro documento falso, come quelli per le spese mediche, le schede carburante e le ricevute fiscali.
In tal modo, la Corte suprema amplia la sfera di punibilità della fattispecie criminosa in argomento, venendo a costituire illecito qualunque atto che procura l’evasione del tributo.
Dunque, in virtù di questo nuovo apporto esegetico, d’ora in avanti nel reato di dichiarazione fraudolenta verrà incluso anche il cosiddetto falso materiale.


Fonte: Agenzia Entrate

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